In una mano il trolley, nell’altra teneva uno dei figli piccoli e si avviava alla fermata del bus. E’ lì che ha atteso il mezzo pubblico, sulla linea diretta alla stazione ferroviaria. Sarebbe stata una scena come tante altre, quella di una donna straniera che con i due bambini nel pomeriggio di oggi, 1 marzo, abbiamo visto aggirarsi a Piacenza nella zona della Lupa, tra via Colombo e via dei Patrioti, se il suo volto non fosse stato nascosto da un niqab, il velo islamico, che lasciava trasparire solo il taglio degli occhi.
Una circostanza alla quale, sicuramente, dovremo abituarci sempre di più. Come abbiamo raccontato in passato, infatti, le donne musulmane che decidono di portare il velo sono in continuo aumento (dati della Cisl, che trovate in allegato e dei quali avevamo scritto il 16 febbraio 2015) e non sempre lo fanno perché costrette (come testimoniava la storia delle due sorelle che abbiamo riportato il 29 luglio 2014, sempre in allegato).
In questo caso, però, non si trattava di un semplice velo sul capo ma di un abito a copertura completa del corpo della donna, comprese le mani, e che lasciava scoperti solo gli occhi. Anche per questo, forse, più di un passante non ha potuto fare a meno di voltarsi stupefatto e le reazioni politiche non sono certo state tenere.
La legislazione italiana in merito è fumosa. In estrema sintesi non esistono disposizioni specifiche sul velo islamico nella legislazione italiana. L’articolo 85 del Testo unico della legge di pubblica sicurezza vieta di “comparire mascherati in luogo pubblico” e prevede per i trasgressori una “sanzione amministrativa”. Chi, invitato a farsi identificare, rifiuti di farlo, è punito con un’ulteriore ammenda. Mentre l’articolo 2 della legge 8 agosto 1977, vieta invece l’uso di caschi protettivi, o di “qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Per chi trasgredisce è previsto l’arresto da sei a dodici mesi e una sanzione amministrativa. A norma di legge, dunque, indumenti come il burqa (velo integrale) e niqab (velo che lascia una fessura solo per gli occhi) non sarebbero utilizzabili, perché non consentono l’identificazione della persona. Ma i contenziosi, scorrendo il web, sono innumerevoli.
Rimanendo all’aspetto culturale, come detto, non sono invece mancate le reazioni stizzite, che riportiamo di seguito.
Il consigliere regionale della Lega Nord, Matteo Rancan: “La legge italiana in merito non è chiara, per questo servono norme più precise. La sicurezza è una priorità e quindi poter identificare una persona è fondamentale. Prendiamo esempio da quanto disposto dalla Regione Lombardia, dove il presidente Roberto Maroni ha disposto il divieto di niqab e burqa negli edifici pubblici per ragioni di sicurezza. La costrizione con la quale alcune donne devono portare il velo è inaccettabile e svilisce il ruolo della donna, ancor più in vista dell’8 marzo. Dal punto di vista culturale non possiamo non rilevare che questi episodi non vanno nella direzione dell’integrazione, che deve andare per piccoli passi ma nel rispetto degli altri”.
Il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti: “Nel 2015 si sono verificati numerosi attacchi terroristici da parte di gruppi armati ricollegabili all’autoproclamato stato islamico che hanno contribuito ad aumentare il senso di insicurezza da parte dei cittadini che, giustamente, reclamano una maggiore protezione, nonche’ l’attribuzione di piu’ poteri alle forze dell’ordine”. A sostenerlo Foti (Fdi-An) in un’interrogazione rivolta alla Giunta regionale, dove evidenzia che “la piu’ immediata forma di controllo e’ data dalla possibilita’ di identificare celermente e agevolmente le persone presenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico”, che “l’articolo 85 del Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza vieta di circolare a volto coperto in luogo pubblico e nei luoghi aperti al pubblico. La Corte europea dei diritti dell’uomo, aggiunge Foti, “chiamata ad esprimersi sulla legge approvata dal Parlamento francese nel 2010, che prevede il divieto generalizzato di coprire il viso per chi si trova in luogo pubblico, ha stabilito che questo divieto non limita la liberta’ religiosa, ne’ la vita privata”. Di qui, la richiesta di sapere se la Giunta intenda emanare apposite disposizioni per far rispettare, all’interno degli uffici o delle strutture (per esempio quelle ospedaliere) della Regione o dalla stessa dipendenti, il divieto di circolare a volto coperto e se intenda attivarsi presso il Governo nazionale per sollecitare l’aggiornamento delle norme esistenti rispetto alle mutate esigenze di ordine pubblico e alla sempre piu’ incessante richiesta di sicurezza da parte dei cittadini.”
La consigliera provinciale di Forza Italia Gloria Zanardi: “Non è mia intenzione estremizzare il ragionamento ma la visione di un’immagine del genere non può che lasciare disorientati e turbati per due ragioni differenti. Una donna completamente coperta da capo a piedi. In verità, sotto quell’aspetto, non sarebbe nemmeno così scontato individuare se si tratti di una donna o di un uomo. Tuttavia, il dubbio presto svanisce, ben sapendo gli usi e i costumi diffusi nelle culture e paesi a cui la persona, con altissima probabilità, appartiene. Nascosta sotto quelli che si amano definire “abiti tradizionali”, vengono celate le forme, le sembianze, le espressioni. L’utilizzo del burqa è un’evidente umiliazione per le donne che spesso non possono nemmeno protestare perché la tradizione glielo impone. Il burqa o altri abiti simili sono strumenti utilizzati per annullare l’identità della donna, ritenuta da certe culture come un essere inferiore, addirittura un oggetto, che non può liberamente esprimersi nella comunità e tanto meno nella propria casa. Sono solo abiti, ma attraverso gli stessi viene manifestata una cultura che non conosce la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e, soprattutto, non rispetta il principio di parità di genere, annientando completamente il valore della donna e, ancora prima, della persona. Oltre a ciò, è evidente che si riscontrano delle contraddizioni per quanto concerne la gestione della pubblica sicurezza. In occasione del carnevale di Venezia è stata blindata piazza S.Marco e tutti i partecipanti sono stati costretti all’ingresso a togliersi le maschere e mostrare il volto (tra l’altro è in vigore una legge che, in generale, vieta di andare nei luoghi pubblici o aperti al pubblico a volto totalmente coperto). E gli altri giorni dell’anno consentiamo che circolino persone che non possono essere né identificate, né riconosciute? Oltre alla mortificazione personale già descritta. Diritti e libertà fondamentali, parità di genere e sicurezza devono essere le parole chiave”.
La consigliera comunale di Forza Italia Lucia Girometta: “E’ inaccettabile vedere con i propri occhi una donna completamente coperta dalla testa ai piedi attendere, come se nulla fosse, il bus alla fermata e tutto questo a Piacenza. La cosa drammatica che sembra una scena di quotidianità qualsiasi e, invece, quella immagine rappresenta una cultura in forza della quale la donna, in quanto donna, va nascosta a dispetto della propria dignità. Il burqa non è un obbligo religioso per le mussulmane, ma un uso tribale antico, che priva la persona di identità e comunicatività, ledendo gravemente la dignità femminile. A breve ricorre la giornata internazionale della donna, in occasione della quale si celebra la figura femminile e queste scene fanno a pugni con le battaglie che quotidianamente, non solo l’8 marzo ma anche gli altri giorni dell’anno, portiamo avanti per il raggiungimento di una completa e concreta parità di genere”.