Dopo il successo della scorsa Stagione Concertistica torna al Teatro Municipale, venerdì 19 febbraio alle 21, l'Orchestra da camera del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Daniele Callegari. Interessante il programma della serata che prevede anche la Suite da Pulcinella di Stravinskij e la celebre Sinfonia Classica di Prokof’ev
Il prossimo appuntamento con la Stagione Concertistica 2015-2016 della Fondazione Teatri di Piacenza, in programma venerdì 19 febbraio alle 21, vedrà esibirsi nuovamente sul palco del Teatro Municipale l'Orchestra da camera del Maggio Musicale Fiorentino diretta dal maestro Daniele Callegari.
La serata sarà un'occasione per comprendere come quattro diversi compositori di nazionalità russa e francese, esattamente cent'anni fa, si siano accostati alla musica del passato.
Masques et bergamasques di Gabriel Fauré rappresenta un omaggio musicale del XX secolo al mondo delle feste galanti del XVIII. Scritta al termine della Grande Guerra, l'opera oggi viene comunemente eseguita nella forma della suite orchestrale. Eseguita per la prima volta a Monte Carlo il 10 aprile 1919, fu commissionata da Alberto I, principe di Monaco, e fu ideata per accompagnare uno spettacolo d'intrattenimento di un solo atto, ballato e cantato, su un libretto di René Fauchois ispirato a Paul Verlaine, il cui contenuto tratta di un gruppo di attori della commedia dell'arte che spiano gli incontri amorosi dei membri aristocratici del loro pubblico. I suoi movimenti furono quasi tutti ricavati da composizioni precedenti del musicista. Il titolo, Masques et bergamasques, viene dai versi iniziali della poesia di Verlaine Clair de lune cantati nel sesto movimento: «Votre âme est un paysage choisi / Que vont charmant masques et bergamasques». Si dice che il compositore affermasse che Masques et bergamasques «è come l'impressione che si ricava dai quadri di Watteau». La suite ricavata da questa composizione è rimasta una dei lavori più celebri del musicista, ed è stata basata su quattro movimenti esclusivamente orchestrali: Ouverture: Allegro molto vivo; Menuet: Tempo di minuetto – Allegretto moderato; Gavotte: Allegro vivo; Pastorale: Andantino tranquillo.
Durante una passeggiata lungo le vie di Parigi, nel momento culminante del loro sodalizio, Sergej Diaghilev sottopose a Igor Stravinskij dei cimeli musicali con l'idea di confezionarne un balletto. I Balletti Russi si erano già avvalsi della collaborazione di compositori come Vincenzo Tommasini e Ottorino Respighi per fare rivivere le note di Scarlatti e Rossini in uno spettacolo danzato. Stavolta le carte dell'impresario provenivano da Napoli e contenevano temi di Giovanni Battista Pergolesi, un autore settecentesco dalle vicende storiografiche alquanto singolari. Insieme agli appunti musicali, nelle biblioteche napoletane, l'impresario aveva scovato anche un interessante canovaccio, I quattro pulcinelli simili e l'idea di un balletto tutto incentrato sul Settecento partenopeo era in lui assai forte. Stravinskij impostò il suo nuovo lavoro allestendo un'orchestra di dimensioni ridotte, atta a presentare il più vividamente possibile le sonorità di quel secolo e vi incluse una voce maschile che non intendeva rappresentare un personaggio della storia ma collocarsi, come un qualunque strumento, nella buca.
Quella che si ascolterà venerdì sarà la versione di Pulcinella come suite orchestrale, predisposta a un ascolto in concerto; vi sono escluse in particolar modo le sezioni pertinenti alla voce cantante. Tutto di questa suite ci riporta nel tardo barocco, dai soggetti melodici agli andamenti danzanti, ma anche il suono che ricrea la tipica ripartizione fra concerto grosso e concertino della musica orchestrale del XVIII secolo. Questo lavoro segnerà una grande svolta nella carriera dell'artista, tracciando l'inizio di una nuova fase consacrata all'attenzione verso la musica del passato (remoto).
L'opera di Maurice Ravel Le tombeau de Couperin rievoca nel titolo, così come i titoli dei movimenti interni, il barocco francese e procura la veste ideale per qualcosa che lo stesso autore definì «una commemorazione senza ricorrere alla Marsigliese». La silloge si riferisce dunque alla musica del Sei-Settecento avvalendosi della danza come presupposto dell’invenzione strumentale. Il nuovo abito sonoro esclude i movimenti più specificamente tastieristici (toccata, fuga), adotta una strumentazione alquanto divisionista, sfoltisce la massa orchestrale per mettere in evidenza i timbri dei legni e rievocare l’ensemble di certe raccolte couperiniane come i Concerts Royaux o Les Nations. Il Tombeau si presenta come un aggraziato mausoleo ispirato a una concezione pagana, non già cristiana: l’attesa della redenzione lascia il posto alla sacralizzazione dell’eroe, compiuta attraverso un lessico e uno stile musicale, quelli del Seicento, innalzati a una dimensione atemporale. L’oboe è protagonista del Prélude, dove ricama un tessuto leggero, ma tenace e vivacissimo, che forma una sorta di moto perpetuo portato a un progressivo infittimento. La Forlane è organizzata sul ritornello di una stessa melodia spigolosa, che di volta in volta accende le sezioni intermedie in cui le dissonanze giocano una parte predominante. L’ambiente pastorale domina il Menuet, col ritorno della pertinente tinta dell’oboe e, come Trio, una Musette, i cui contorni più schietti mettono in risalto la grazia del minuetto al momento del da capo. Anche la Forlane ha uno schema tripartito: mentre agli estremi gli ottoni ci accompagnano dentro una festa paesana, il cuore di questa danza è un piccolo cammeo intagliato ancora dall’oboe, ma stavolta sorretto da un accompagnamento di una ponderatezza geniale. Sono questi prodigi di scrittura, nei quali a dominare è la sottrazione, a stupire quegli ascoltatori che conoscono l’originale concezione pianistica dei tombeaux.
Fu nell'estate del 1917, tra le due Rivoluzioni, che Prokof'ev decise di mettere mano a una sinfonia, approfittando dell'assenza di un pianoforte nella casa in cui stava soggiornando; era convinto che la scrittura orchestrale risultasse più agevole e ottimale limitandosi a 'pensare' i suoni senza suggerirli con la tastiera. Limpida, trasparente, schietta è la sinfonia che ne scaturì e divenne ben presto uno dei suoi lavori più amati dal pubblico. Nella sua estrema linearità si espongono in modo assai evidente le caratteristiche formali del classicismo di matrice viennese senza tuttavia negare la personalità dell'autore. Questi, nelle sue memorie, si sarebbe in seguito auto-identificato con quattro caratteri: il Moderno, che ricercava nelle più ardite soluzioni armoniche l'espressione delle emozioni; il Motoristico, per il costante impulso a spingere il virtuosismo verso frontiere sempre più audaci; il Lirico, quando pensoso e meditativo; il Classico, quando ritrovava l'esperienza musicale della giovinezza.
Se è l'ultima di queste facce a dominare la Sinfonia op. 25, non si può negare che vi manchino le altre tre. Si notano infatti una persistente vivacità ritmica, l'uso dello staccato e delle acciaccature, il desiderio di 'provare' gli strumenti in tessiture tutt'altro che abituali che, uniti a un uso alquanto instabile dell'armonia d'impianto, ne fanno un capolavoro che aderisce ai canoni settecenteschi senza però stilizzare troppo il discorso.
La sinfonia "Classica" di Prokof'ev non si avvicina né al classicismo di Stravinskij, né a quello d'altri cultori come Paul Hindemith. Alle soglie del Novecento, in tanti si sono rivolti al passato; ognuno a modo proprio, ma tutti perseguendo il medesimo obiettivo: ritornare a scuola.