Lacci nel Tidone a Rottofreno, cacciatore 70enne denunciato per bracconaggio

Aveva teso lacci nel torrente Luretta nei pressi della confluenza con il torrente Tidone, lungo quei sentieri formati dal passaggio degli animali, ma “in trappola” è caduto proprio lui, grazie all'operazione congiunta dei Carabinieri della Stazione di San Nicolò a Trebbia al comando del Luogotenete Mario Congiu e dal Nucleo Tutela Faunistica della Polizia Provinciale di Piacenza rappresentata dal Sovrintendente Pietro Masini e l'Ispettore superiore Roberto Cravedi responsabile. Le indagini coordinate dal Pubblico Ministero Dott. Roberto Fontana erano partite qualche giorno prima dopo il ritrovamento di alcuni lacci, la vegetazione era stata opportunamente modificata costringendo gli animali selvatici a transitare proprio dove questi erano stati posizionati. La fattura e l'ubicazione delle trappole dimostravano certamente una lunga esperienza nella caccia di frodo ai cinghiali e ai caprioli, animali a cui erano sicuramente destinate. Il tempestivo intervento delle Pattuglie scongiurava per fortuna la cattura della fauna. Le indagini si concludevano con l'individuazione del Responsabile e una scrupolosa perquisizione domiciliare che dava esito positivo, con il rinvenimento di altri lacci pronti all'uso e attrezzatura per il loro confezionamento, una carabina non denunciata e munizioni ed un fucile custodito in luogo diverso ed in violazione alle cautele previste dalle norme in materia di armi, il materiale veniva sequestrato a disposizione dell'Autorità Giudiziaria.

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L'uomo, un cacciatore settantenne residente a Gragnano Trebbiense, veniva così denunciato a piede libero per esercizio della caccia in periodo di chiusura generale e con l'utilizzo di lacci per la cattura di ungulati selvatici con mezzi non consentiti, attività idonea a integrare il tentativo di uccisione di animali senza necessità e con crudeltà e violazioni alle normativa in materia di armi e munizioni.

Il cosiddetto “laccio” è un metodo di caccia illegale. Di semplice fattura è costituito da un semplice cavo metallico, di diverso spessore in funzione della preda che si tenta di colpire. Il laccio viene legato per una estremità ad un paletto o direttamente ad un ancoraggio maggiore (albero o spuntone di roccia). L’altra estremità, invece, è predisposta come un vero e proprio cappio in genere piazzato lungo i camminamenti abituali degli animali. Può colpire le zampe, fatto questo più comune per lupi, cervi e caprioli, se bloccati per gli arti, si può arrivare all’amputazione dello stesso. Il laccio, infatti, penetra sempre più ogni volta che l’animale tenta di liberarsi oppure prendere per il collo. Questa eventualità può maggiormente verificarsi per i cinghiali e le volpi. Preso per la pancia, fatto più comune per lupi e volpi, si ha in genere la rottura del diaframma, per i cinghiali che vengono invece acciuffati per la gola, il soffocamento, l'agonia può durare da poche ore a parecchi giorni.

A rimanere vittime, sono spesso animali domestici, come cani, gatti ed animali da pascolo.

La Polizia Provinciale da anni è impegnata contro la diffusione di questo fenomeno, organizza personale volontario appartenete alle Associazioni venatorie ed ecologiche provinciali per la ricerca dei lacci presenti nelle siepi e nelle zone boschive della provincia.

L'individuazione dei responsabili è un compito particolarmente difficile in quanto il materiale utilizzato per la fabbricazione del laccio è di uso comune e di facile reperimento, l'installazione è effettuata in genere in luoghi poco accessibili e nascosti.

Chiunque dovesse rinvenire trappole o lacci deve segnalarne la presenza alle Forze dell'Ordine che avvieranno immediatamente le indagini del caso.