Il primo appuntamento del nuovo anno con la Stagione Concertistica 2015-2016 della Fondazione Teatri di Piacenza vedrà per la prima volta sul palco del Teatro Municipale, venerdì 5 febbraio alle 21, la Savaria Symphony Orchestra, che può considerarsi una delle più antiche orchestre dell'Ungheria. Sul podio Gergely Madaras, direttore versatile che nonostante la giovane età ha già diretto le più importanti orchestre del mondo; ospite il violinista parmense Luca Fanfoni. Una serata interamente dedicata al genio di Antonín Dvořák di cui verranno eseguite le due composizioni probabilmente più conosciute: il Concerto per violino e orchestra e la Sinfonia dal nuovo mondo.
Nell'estate del 1879 Dvořák iniziò a comporre un concerto per violino e orchestra dedicandolo al violinista Joseph Joachim per cui nutriva una profonda stima. La gestazione di questo concerto fu difficile e per più di tre anni la partitura rimbalzò più volte dal mittente al destinatario; questi, seppure con parole di incoraggiamento, interveniva con un giudizio assai critico: non gli piacevano la struttura poco convenzionale, il forte sapore folclorico, la corposità del tessuto orchestrale. Ma soprattutto riconosceva che taluni passaggi fossero troppo complicati da eseguire. L'autore non riuscì a protrarre oltre la faccenda; seccato, lasciò il nome di Joachim quale dedicatario del brano ma affidò la prima esecuzione a František Ondříček, che divenne il suo interprete più acclamato.
Uno degli aspetti più lampanti del suo primo movimento è la volontà di non esibire un prevedibile ordine formale; difatti l'esposizione dell'orchestra è talmente ridotta nel suo sviluppo da sembrare quasi una breve fanfara annunciante l'irrompere del violino, subito sollecitato a compiere prodezze tecniche. Invece è proprio da questa inconsueta alternanza che scaturiscono nuovi spunti tematici di plastico lirismo, capaci di passare dai fiati al protagonista con immutata espressività.
Alla struggente romanza che abita il secondo movimento si giunge senza soluzione di continuità, ma anche grazie a questo stratagemma è ancora più piacevole l'incanto procurato dalla sapiente mano di Dvořák, che come pochi sa dilatare i tempi lenti con arcate melodiche di ampio respiro. È il movimento conclusivo quello dove appare più pregnante il tono popolare, alternando due danze della tradizione boema: il furiant, caratterizzato dall'ambiguità metrica fra ritmi ternari e binari e il dumka, più lento e di ascendenza ucraina. Con il richiamo del motivo iniziale affidato al flauto, un vertiginoso accelerando porta all'epilogo segnato da quattro tonanti accordi.
L'ultima sinfonia di Dvořák deve l'appellativo con cui oggi la conosciamo alla terra dove germogliò. Il compositore, infatti, ricoprì la carica di direttore del National Conservatory of New York per il triennio 1892-95 e fin dai primi mesi del suo soggiorno la curiosità verso i linguaggi sonori nordamericani fu insaziabile.
Nella scena musicale cittadina la presenza dei neri era allora al suo apice; avvenne in quegli anni l'esplosione del Ragtime, portato nelle strade dalle bande per poi invadere tutti i salotti muniti di un pianista in grado di riprodurre le acrobazie di Scott Joplin (o, in sua vece, di un pianoforte automatico a rullo). Da questo genere di canto Dvořák fu attratto assai fortemente al punto da dichiarare, in un intervento sul New York Herald del maggio 1893, che la più seria e autentica scuola di composizione americana avrebbe dovuto fondarsi sulle Negro melodies. Ma è altresì noto che egli avesse assistito a uno degli show del Buffalo Bill Cody’s Wild West nella primavera dello stesso anno, dove si esibì, cantando e danzando, un gruppo di Sioux Oglala, mentre alcuni mesi dopo, trovandosi a villeggiare nello Iowa, conobbe i canti irochesi durante una dimostrazione della Kickapoo Medicine Company, una società farmaceutica specializzata in rimedi della medicina pellerossa.
La sinfonia che nacque fra tutte queste suggestioni uditive non rinnega le proprie radici stilistiche: sono anzitutto la costruzione, le proporzioni, l'orchestrazione a farne un'opera inserita appieno nel solco di un maturo romanticismo tedesco. È piuttosto il materiale tematico a svelare un uso del linguaggio folclorico, avvalendosi di elementi ritmici e melodici rivelati da un un paesaggio sonoro in corso di esplorazione; non si tratta però di pura citazione, bensì di una virtuosa rigenerazione di idee, che sapeva perfettamente ottemperare alle attese del nuovo pubblico e, nello stesso tempo, riconfermare il sistema di ideali estetici proprio dell'artista. Mentre il primo e ultimo movimento con la loro vivacità ritmica e le tinte animate descrivono l'ambiente urbano, quelli centrali prediligono il canto dei neri e degli indiani: un tratto che diversi osservatori hanno posto in relazione al poema La canzone di Hiawatha di Henry W. Longfellow, che Mrs. Thurber procurò al boemo affinché si avvicinasse all'immaginario legato ai popoli nativi. La sinfonia fu presentata il 16 dicembre 1893 alla Carnegie Hall, con un successo clamoroso.
Per info e biglietti è possibile rivolgersi alla biglietteria del Teatro Municipale di Piacenza, in via Verdi 41, al numero di telefono 0523.492251 o al fax 0523.320365 o all'indirizzo mail biglietteria@teatripiacenza.it.