Avrebbe divulgato senza autorizzazione il video della presunta tresca avvenuta sul lavoro tra il marito e una dipendente. E’ il nocciolo di una vicenda processuale particolarmente intricata e complessa che ha visto una 45enne piacentina condannata a 4 mesi di reclusione per aver violato il decreto legislativo che, in tema di privacy e di telecamere collocate sul luogo di lavoro, vieta di trattare dati personali (quindi anche immagini e frame) senza il consenso espresso della parte interessata.
Una storia che potrebbe certamente ispirare qualche romanzo “rosa” se non fosse che in gioco, in questo caso, c’erano sentimenti e relazioni vere. I fatti risalgono al 2011 e sono ambientati tra le stanze e i corridoi di un negozio alla periferia della città dove lavoravano tutti e tre i protagonisti: un facoltoso imprenditore, sua moglie (imputata difesa dall’avvocato Romina Cattivelli) e la dipendente dichiaratamente lesbica (parte lesa difesa dall’avvocato Andrea Perini). Ruolo fondamentale quello rivestito dalle telecamere fatte installare dall’imputata sul luogo di lavoro, ufficialmente per prevenire furti e quant’altro, ma che avrebbero in realtà spiato qualcosa di più: ossia la presunta avance (un abbraccio) del marito nei confronti della dipendente. La prova lampante di una tresca, secondo la moglie; una avance non corrisposta dalla dipendente parte lesa che, in aula, ha spiegato come fosse impegnata a quell’epoca in una relazione con un’altra donna. Ebbene, stando a quanto emerso nel processo, la moglie sarebbe riuscita ad ottenere il filmato di quell’incontro e l’avrebbe mostrato sia alla dipendente stessa per indurla a denunciare il marito nonché datore di lavoro per l’aggressione; sia alla compagna della dipendente la quale non ha gradito ed ha posto fine alla relazione sentimentale, tra l’altro al termine di una giornata convulsa che vide la polizia piombare nel negozio proprio in seguito alle tensioni maturate sul posto di lavoro. La dipendente, sentitasi danneggiata, ha così deciso di denunciare la moglie sia per aver fatto installare delle telecamere sul luogo di lavoro senza le autorizzazioni sindacali previste e sia per aver divulgato il video senza il suo consenso. Il piemme Monica Bubba ha chiesto 4 mesi e 10 giorni di condanna per la diffusione del video e il non luogo a procedere per l’installazione delle telecamere (dal momento che l’imputata ha già pagato un’ammenda). “La mia assistita ha subito un grave danno” ha detto l’avvocato di parte civile Perini. Secondo la difesa, invece, nel processo non sono maturate né le prove dell’esistenza di quel video, né quelle che sia stato cagionato un danno alla parte lesa. Il giudice Gianandrea Bussi ha deciso di condannare la donna a 4 mesi di reclusione e a un risarcimento della parte civile di 2500 euro.