“Uccise Daniela”, chiesti 22 anni per Rizzotto. Per la difesa “manca la prova”

Quindici secondi di follia. Quindici secondi in cui Dario Rizzotto, durante una lite furibonda, avrebbe perso il controllo di sé in un crescendo di aggressività fino ad arrivare a defenestrare la fidanzata Daniela Puddu al culmine di una colluttazione. Un’azione frutto di un raptus “rabbioso, repentino e improvviso” al punto che “la vittima non avrebbe avuto il tempo di accorgersi di quello che stava succedendo”.

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E’ questa la ricostruzione fatta dal piemme Roberto Fontana degli istanti precedenti la morte della 38 enne sarda avvenuta la sera del 14 giugno 2014 in via Illica a Fiorenzuola, quando cadde dalla finestra del terzo piano della sua abitazione. Pur riconoscendo che “non aveva premeditato di uccidere”, il pubblico ministero ha chiesto 22 anni di carcere (senza la concessione delle attenuanti generiche) per il 36enne siciliano. “Una colpevolezza emersa chiaramente nel corso del processo” ha detto il piemme che ha escluso categoricamente le ipotesi del suicidio e della morte accidentale come conseguenza di un atto dimostrativo. 

In base alla ricostruzione della pubblica accusa, suffragata e completata dal legale di parte civile Mara Tutone (che assiste la famiglia Puddu), quella sera Rizzotto e Puddu erano in casa con Pasquale Cossu. Litigarono pesantemente. Poi Cossu se ne andò. Erano circa le 23,30 e in pochi secondi dal bagno i due fidanzati sarebbero andati in camera da letto. “Facciamola finita, picchiami e poi vattene di casa” avrebbe detto Daniela a Rizzotto, arrabbiato per motivi di gelosia legati ai contatti che avrebbe avuto ancora con l’ex fidanzato indiano. Una frase, quella, che avrebbe scatenato l’ira del fidanzato. I tonfi e alcuni rumori forti uditi dai testimoni. Poi il silenzio, interrotto solo dall’ultimo tonfo, quello fatale, sul marciapiede. Una precipitazione di testa, “incompatibile con l’ipotesi del suicidio” hanno detto sia Fontana sia Tutone. Ma la tesi del suicidio, per l’accusa e per la parte civile, va esclusa anche per “la personalità di Daniela”. “Daniela non era depressa – hanno detto – era arrabbiata perché le volevano portare via i figli. Ci è stato detto da più testimoni che non si sarebbe mai tolta la vita. E pochi istanti prima aveva scritto messaggi via Facebook e a un’amica”.

Per l’avvocato Tutone “Rizzotto è un uomo violento e prepotente che nel corso del processo ha mentito più volte”.

Per la difesa, rappresentata in aula dagli avvocati Andrea Bazzani e Francesca Cotani, “siamo alla fine di un processo dove non è emersa una prova a carico di Rizzotto: non c’è la prova che Rizzotto fosse geloso e nemmeno che l’abbia spinta dalla finestra”. Secondo la difesa, la gran parte delle testimonianze rese in aula, inoltre, “non sarebbero credibili”. Per il loro assistito hanno quindi chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto o, in subordne, per insufficienza di prove. Domani (primo dicembre) è attesa la sentenza.