Sono definiti, tecnicamente, uomini “maltrattanti”. Parliamo dei carnefici delle donne vittime di violenza, per le quali oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale di sensibilizzazione verso questo fenomeno tanto odioso quanto, purtroppo, spesso drammatico. E nel Piacentino non esistono solo centri che curano le oppresse da sevizie ma persino i loro aguzzini. Parliamo del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM), che in provincia ha sede a Podenzano in piazza Italia e a Piacenza ha una sede operativa in via Machiavelli 15.
Una specie di “Centro d’ascolto per uomini maltrattanti”, come già ne sono stati avviati da qualche tempo a Cremona e Ferrara. Ed è qui che, attraverso colloqui e terapie di gruppo condotti da psicologi, psicoterapeuti, avvocati, assistenti sociali e mediatrici culturali, gli uomini violenti comprendono di avere un problema con l’altra metà del cielo.
Tra le varie iniziative è stato attivato, nello specifico, un “Presidio criminologico territoriale”. Un progetto di ricerca partito ad ottobre e che si rivolge a questi soggetti. “Abbiamo disponibilità per una decina di utenti e alcuni si sono rivolti a noi – ha premesso la dottoressa Serena Merli, una delle specialiste del centro -, tutti autori di condotte lesive violente nei confronti di donne e minori”. E’ a lei che abbiamo chiesto di più sulla loro attività, decisamente inusuale: “Sono uomini che si presentano spontaneamente o su indicazione dei servizi sociali, delle forze dell’ordine e degli enti territoriali, ma comunque accettano di seguire un percorso di cura, dopo aver stipulato un contratto, per impegnarsi in una serie di trattamenti”.
Come comprensibile un profilo univoco di persone violente verso le donne non esiste però, ha spiegato la dottoressa Merli, “spesso presentano caratteristiche comuni. Per questo lavoriamo sui gruppi, per migliorare le abilità empatiche, o le strategie per risolvere problemi relazionali, che non vadano a chiamare in causa la violenza ma alternative, per placare l’emotività del momento”.
La domanda che sorge spontanea è: perché lo fanno? Difficile rispondere ma, anche in questo caso, sembrano essere due le tipologie più comuni: “Alcuni si giustificano, colpevolizzando la vittima, altri riconoscono di avere un problema nella gestione della loro aggressività – ha aggiunto la dottoressa -. Chi si rivolge a noi ha però un minimo di consapevolezza che c’è qualcosa da risolvere ed è pronto a farsi consigliare e seguire da professionisti”.
Il tutto, a quanto sembra, sta nella gestione delle emozioni e delle reazioni. Sembrerebbe facile e invece, per alcuni, questa dinamica può sfociare nella violenza verso le donne: “Un consiglio che possiamo dare – ha concluso – è quella di cercare di conoscere le proprie difficoltà e tenere in considerazione che agli inizi è necessario un aiuto dall’esterno, attraverso un percorso clinico, con colloqui individuali e poi di gruppo, per avere cognizione delle proprie difficoltà comportamentali”.
Ma se molte donne vittime di violenza decidono giustamente di parlare e far conoscere un fenomeno così deprecabile, tra i “maltrattanti” le testimonianze sono del tutto assenti. E anche i “carnefici” seguiti dal Centro Italiano Promozione della Mediazione non sono facili da raggiungere, visto che spesso sono coinvolti in procedimenti giuridici e forse perché, per questi “sex offender”, è ancora presto per poter fare i conti con la luce, dopo aver frequentato per molto tempo gli abissi della violenza.