Avrebbe costretto la moglie a seguire alla lettera la shari'a, la "legge di dio" islamica: chiusa in casa, con le tapparelle abbassate, senza la possibilità di usare l’acqua calda e il riscaldamento; senza la possibilità di aprire bocca; continuamente minacciata. Per il marito, un algerino di 40 anni, la pubblica accusa ha chiesto una condanna a due anni e 8 mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia. I fatti processuali risalgono al 2013. Nel corso del processo la vittima, una 30enne connazionale difesa dall'avvocato Mara Tutone, aveva raccontato i dettagli della complicata convivenza fin dal 2007 quando si sposarono.
Le vessazioni si erano inasprite dopo che l’uomo scoprì che la donna non poteva avere figli; proprio per questo l’algerino avrebbe a quel punto cercato un’altra compagna nel suo paese d’origine minacciandola che sarebbe diventata “la loro serva”. Secondo l’avvocato difensore dell’uomo, Maria Rosaria Pozzi, una circostanza negata: l’uomo non avrebbe avuto alcuna relazione extraconiugale, piuttosto avrebbe fatto di tutto per cercare di salvare il matrimonio. La donna ha raccontato ancora di essere piombata in uno stato d’ansia e di paura. L’uomo la controllava: la obbligava a telefonargli a ogni ora mentre lui era al lavoro e ad accendere la televisione o farle sentire lo scroscio dell’acqua come prove che si trovasse in casa. Quando rientrava controllava il contatore in modo da non farle usare acqua calda e riscaldamento. La sentenza è prevista il 26 novembre.