La conoscenza dei terremoti del passato fornisce elementi indispensabili per capire la sismicità e potersene difendere attuando corrette pratiche di prevenzione. Un esempio in tal senso è lo studio condotto nell’area di Ferrara da Livio Sirovich e Franco Pettenati, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research dell’Unione Geofisica Americana.
Il terremoto dell’Emilia. Il 20 maggio 2012 una forte scossa di terremoto ha fatto tremare l’Emilia. Il 29 maggio la seconda scossa distruttiva ha seminato scoraggiamento e panico. Anche gli esperti della nuova Commissione Grandi Rischi erano preoccupati perché sapevano che nel 1570 c’era stato un altro terremoto distruttivo, che aveva colpito gravemente la zona di Ferrara, pochi chilometri a est di quelle danneggiate il 20 maggio (con epicentro a Finale Emilia).
“Purtroppo, di quel terremoto del XVI secolo si sapeva solo dove si erano manifestati i danni, ma non si sapeva nulla della posizione della frattura profonda (faglia) che l’aveva causato, né tanto meno del suo meccanismo di rottura” spiega Pettenati. “Per quel che si sapeva, il responsabile poteva anche essere stato – a vari chilometri di profondità – un segmento più orientale della stessa faglia rottasi il 20 maggio” aggiunge Sirovich.
“In questo senso – continua il ricercatore dell’OGS –, il 7 giugno 2012 la Protezione Civile nazionale emise un opportuno comunicato in cui si diceva: è significativa la probabilità che si attivi il segmento [di faglia sismica; ndr] compreso tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati nella sequenza”.
Nuovi dati illustrati su JGR. Oggi, lo studio dei sismologi dell’OGS dimostra che:
· il terremoto del 1570 non fu dovuto alla prosecuzione verso est della faglia responsabile dell’evento del 20 maggio 2012, bensì a una faglia sepolta dalle alluvioni e posizionata in profondità, circa 14 chilometri a nord-nord-est di Ferrara;
· la faglia corrisponde al fronte più esterno della Catena appenninica, che lentamente, da milioni di anni, si sta alzando causando il sollevamento della fascia meridionale della Val Padana (in riva orografica destra del Fiume Po);
· nel corso degli ultimi 2800 anni circa, questo sollevamento (probabilmente realizzatosi anche attraverso terremoti), ha costretto il corso del Po a spostarsi di circa 20 km verso nord tra Guastalla e Ficarolo (fra Emilia, Lombardia e Veneto);
· con i suoi 10-15 cm circa di sollevamento, il terremoto del 1570 fu la goccia che fece ‘traboccare il vaso’ del Po, che abbandonò il delta delle Valli di Comacchio per portare tutte le sue acque nel delta attuale: un evento epocale, che nel 1580 papa Gregorio XIII volle far immortalare nella Galleria delle carte geografiche dei Musei vaticani.
“Oggi sappiamo che il terremoto del 20 maggio 2012 scaricò nel sottosuolo verso ovest-sud-ovest sforzi cosiddetti ‘di Coulomb’, che furono in grado di innescare una faglia (che in quella zona si stava già caricando) e che produsse la scossa del 29 maggio” spiega Sirovich. Viceversa, fortunatamente, la scossa del 20 maggio non trasmise sforzi significativi verso la faglia trovata oggi dall’OGS: “faglia che si era attivata nel 1570 e che non è detto sia in fase di ricarica”.
Il terremoto di Ferrara della fine del XVI secolo è finora il più antico evento sismico distruttivo di cui, a livello mondiale, sia stato possibile calcolare la geometria e il meccanismo di rottura. Ciò è stato possibile grazie alla straordinaria qualità dei dati storici sui danni del 1570 (http://emidius.mi.ingv.it/DBMI11) e alla tecnica di calcolo messa a punto dall’OGS.
“Il nuovo algoritmo – racconta Pettenati – parte dalla posizione e dall’entità dei danni agli edifici nella regione colpita e ricalcola (con un procedimento chiamato “inversione” geofisica) quale sia stato il piano di rottura profondo (faglia) ad averli prodotti”.
Per questo studio OGS ha beneficiato del contributo finanziario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento di Protezione Civile, con il coordinamento dell’INGV; la presente pubblicazione, tuttavia, non riflette necessariamente la posizione e le politiche ufficiali del Dipartimento di Protezione Civile.