Nasce come un gioco, si trasforma in passione, ti può portare sul tetto del mondo ma – nonostante non ci sia spot o rivista che non lo abbia usato per esaltare uno dei propri prodotti – difficilmente potrà diventare un lavoro. Parliamo dello skateboard, disciplina molto conosciuta e praticata ma spesso ritenuta solo un vezzo o un passatempo.
Tra i maghi della tavola munita di quattro ruote, nata in California tra la fine degli anni quaranta e l`inizio degli anni cinquanta, ci sono due piacentini che da anni si mettono in luce sia in Italia che all’estero. Sono Francesco e Michele Salini, di 28 e 29 anni, fratelli originari di Fontana Fredda, frazione di Cadeo, che hanno conquistato tutti i titoli possibili, oltre ad essere stati sponsorizzati dai più famosi marchi del settore. Li abbiamo incontrati, per conoscere meglio quello che hanno voluto definire uno sport a tutti gli effetti.
Hanno iniziato tra i 12 e i 15 anni, quando ancora nel nostro paese questa moda era un’eco lontana che rimbalzava dall’America. Senza Facebook, Instagram o Twitter, la comunità di skaters si alimentava a base di riviste rarissime (spesso su ordinazione, rigorosamente in inglese), vecchie videocassette vhs altrettanto introvabili e il passaparola. E così, tra rampe improvvisate nelle zone industriali e sgridate delle maestre per il fatto di presentarsi a scuola ogni mattina con le scarpe “sbucciate”, sono cresciute due promesse dello skate italiano.
Certo non è una pratica adatta a tutti, perché la sua pericolosità è testimoniata dai numerosi incidenti che si verificarono alla fine degli anni settanta, quando si diffuse anche in Italia. Genova fu la prima città a vietare la circolazione dello skateboard (per le numerose strade in discesa), divieto poi esteso all'inizio del 1978 in tutto il territorio nazionale. “Sì, qualche braccio o polso ce lo siamo rotti, incrinate alcune costole, senza contare diverse cicatrice e infinite botte, però è come ogni altro sport – premettono all’unisono -, se lo fai ad alti livelli poi subentrano l’allenamento e maggiore sicurezza”.
Quello che, almeno nel nostro paese non è ancora arrivato, è un giro d’affari tale da poter permettere agli skaters di potersi mantenere con il proprio lavoro. “All’inizio guadagnavamo solo le tavole, oppure le scarpe e i vestiti messi in palio. Poi, grazie agli sponsor, siamo riusciti a racimolare qualcosa di più, però l’anno migliore è stato il 2006, in seguito i soldi hanno iniziato a scarseggiare”. Non è un caso se oggi, il primo premio per il campionato italiano è rappresentato da qualche centinaia di euro. Una miseria, rispetto al numero di appassionati e al business che ruota intorno a questo mondo.
E così, per i più talentuosi, non rimane che legarsi ai marchi che vendono abbigliamento di settore. Anche se, nonostante tutto, mantenersi è un’impresa. Ma la passione, quella, non sembra risentire dei magri introiti: “E’ una forma di libertà, non solo legata la gesto tecnico. La definirei un’espressione artistica di sé stessi – ha spiegato Michele -. Ora è arrivato a livelli estremi ma non è solo una tavola con le rotelle ma uno strumento che ti da la possibilità di realizzarti e imparare, attraverso i trick, come vivere. Ti permette di viaggiare, di conoscere persone, di avvicinarti ad altre culture”.
Lo sa bene Francesco, che da qualche hanno ha deciso di trasferirsi nella capitale degli skaters, Barcellona: “Per seguire il mio sogno. E posso dire che lo skate mi ha salvato la vita. Aiuta a credere in te stesso. Ti prepara alla vita, perché devi soffrire fino a raggiungere certi risultati, come in ogni sport. Piacenza dovrebbe imparare da certe città europee. C’era una bella scena in città e provincia ma poi si è persa, a causa della mancanza di strutture”.
Non hanno ancora 30 anni, però qualche consiglio – almeno nel loro ambiente – possono permettersi di darlo. Ai giovani, in particolare, Michele consiglia di “non fissarsi troppo sulla fama, gli sponsor, le vittorie. Dovete prima di tutto divertirvi. Quando siete da soli, voi e la vostra tavola e sentite che c'è feeling e non ti servirebbe nient’altro, allora è il primo passo per diventare grande. Non solo con la tavola ma anche come persona”.
Fatto questo passo, insomma, si può persino pensare di avere come amici o compagni di squadra i propri idoli che prima si seguivano sulle riviste o in tv: “Ho conosciuto skaters famosi in tutto il mondo che prima sentivo solo nominare e ammiravo. E’ stata un’emozione, averli faccia a faccia, essere nello stesso team. Avere a che fare con gente che è stata un esempio ti permette di comprendere che non sono degli alieni, ma delle persone che come te hanno iniziato con la stessa passione da ragazzino e sono arrivati a raggiungere i propri sogni”.