Entra in ospedale con dolori lancinanti all’addome, viene operato quasi 24 ore dopo l’accesso al Pronto Soccorso e muore per un’emorragia. Sarà il collegio di giudici presieduto da Italo Ghitti (a latere Giuseppe Tibis e Gianandrea Bussi) a stabilire se il decesso di un 55enne piacentino per il “diverticolo di Meckel” (anomalia del tubo digerente), avvenuto alla fine di gennaio del 2013, sia stato provocati da una sottovalutazione del caso e da ritardi nell’intervento. Ben sette i medici piacentini imputati nel processo, tutti in quelle ore in servizio al reparto di Chirurgia dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto: sei di questi, tra cui diversi chirurghi, sono accusati di omicidio colposo; il settimo medico, invece, di omissione di atti d’ufficio.
Questa mattina (4 giugno) in aula sono stati ascoltati in qualità di testimoni la moglie e il fratello della vittima, alcune infermiere in servizio al Triage e al reparto di Chirurgia, un’anestesista-rianimatore. Una morte sopraggiunta in maniera anomala che, a dire della stessa anestesista, “lasciò sconvolti e attoniti l’intero staff medico intervenuto”. Particolarmente toccante la testimonianza della moglie che ha ripercorso quelle oltre 24 ore all’ospedale: dall’attesa di quasi quattro ore al Triage, in cui l’uomo finì tra i codici verdi (quelli non gravi), alle prime visite, dalle prime visite che mettevano in luce “un addome non bello” al ricovero, dalle complicanze post-operatorie fino al decesso. “Accompagnammo mio marito al Pronto soccorso alle 23,30 del 29 gennaio 2013. Solo intorno alle 3 un medico lo visitò, ravvisò che era un addome in cattive condizioni e che forse il caso era stato sottovalutato. Poco dopo lo specialista disse che andava operato”. Sono circa le 4,30 del mattino quando la moglie, al fianco del marito sempre dolorante nonostante la somministrazione di diversi antidolorifici, sente per la prima volta parlare di “operazione”. Passeranno altre 18 ore prima che il paziente venga portato sotto i ferri. Due ore circa di operazione poi il ritorno in stanza e la situazione che precipita. “Mio marito era pallido e sudava – ha raccontato ancora la moglie – cercavamo di attirare l’attenzione del personale medico e infermieristico. Abbiamo intuito che la situazione era grave quando non sono riusciti a fare dei prelievi di sangue. A quel punto la situazione è diventata concitata. Hanno fatto uscire me e i miei fratelli dalla stanza e abbiamo capito, anche dai comportamenti dei medici, che il quadro era drasticamente peggiorato. Cercavano del sangue per delle trasfusioni che tardava ad arrivare tanto che mio fratello si offrì di donarlo direttamente senza essere ascoltato”. Poco dopo la drammatica comunicazione: “Tre medici ci hanno comunicato che mio marito era morto e che non riuscivano a spiegarsi le cause del tracollo”. Durante il racconto la donna si commuove: “Mi sembrava di essere in un incubo e ricordo di aver gridato ai medici che avevano aspettato troppo tempo”.
Le infermiere ascoltate e interrogate dal piemme Michela Versini, dalla parte civile (avvocato Simone Marconi per la famiglia) e dai numerosi avvocati difensori (Francesco Bonanni, Giovanni Capelli, Antonio Trabacchi) hanno riferito che all’arrivo al Pronto soccorso l’addome risultava “trattabile”. In buona sostanza la situazione non era così grave da far necessitare la modifica modificare del codice verde in un codice a più alta emergenza. “Certamente quando l’uomo è stato visitato intorno alle 3 la situazione dell’addome era decisamente grave”, ha riferito il medico del Pronto soccorso che per prima visitò l’uomo confermando di aver dichiarato “che il caso era stato forse sottovalutato”, ma aggiungendo anche che nel giro di tre-quattro ore (tanto il tempo trascorso dall’arrivo al Ps) le condizioni dell’addome “potevano essere cambiate”.
L’anestesista presente in sala operatoria ha riferito di essere stata alle prese con un intervento tutto sommato “ordinario” e con una anestesia che si era rivelata “tranquilla”. Questa ha però aggiunto che a seguito delle complicanze dopo l’operazione notò “che nel drenaggio destro c’era un modesto rifornimento di sangue, ma che fu rassicurata dai chirurghi”. “Cinque minuti dopo il mio arrivo in stanza – ha detto ancora l’anestesista – l’uomo è andato in arresto cardiaco. Per più di un’ora abbiamo tentato di rianimarlo, ma non ce l’abbiamo fatta”.
Per approfondire le cause di questo decesso e individuare le responsabilità dei singoli imputati, il Tribunale ha disposto una perizia nominando i professori Iginio Caffuri (istituto medicina legale di Milano), Valerio Ceriani e Alberto Garbini. Il processo è stato poi rinviato al prossimo 25 giugno.