Lettera dal carcere: “Ecco l’incubo che ho vissuto per una partita di calcio”

 Il carcere è un mondo a parte, dal quale solo raramente escono spiragli di comunicazione con l'esterno. Uno di questi è rappresentato dalla lettera che sta circolando in rete, attraverso il sito http://www.infoaut.org e inviata all'associazione Ampi Orizzonti. A scriverla un detenuto straniero del penitenziario delle Novate, protagonista suo malgrado di un episodio di violenza nel carcere di Ferrara. Una vicenda avvenuta a causa di una partita di calcio nell'ora d'aria e di un pallone volato oltre il muro della struttura. 

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Di seguito la sua lettera pubblicata integralmente. 

All’Associazione Ampi Orizzonti.

Con questa lettera voglio farvi presente la mia storia di detenuto attualmente recluso nella C.C. di Piacenza, trasferito e arrivato dal carcere di Ferrara il giorno 11-10-2014 dopo aver subito lesioni gravi e abuso di potere da parte delle guardie di sorveglianza con la complicità dell’ispettore e degli organi superiori tenuti a garantire la sicurezza nei limiti della legalità e di legge per i detenuti.

Premetto che sono di origine tunisina e che trovandomi in reclusione nel carcere di Ferrara dove quotidianamente succedono situazioni ambigue e coercitive, con veri e propri atteggiamenti di istigazione, con i soliti ricatti che la legge ha preposto, tipo “maturazione della libertà anticipata”.

Per cui voglio raccontarvi dell’episodio successo nel carcere di Ferrara il giorno giovedì 9-10-2014 giorno dell’aria dedicato al campo sportivo. Nel campo vi era un numero indefinito e superiore a 22 persone impegnate a giocare una partita di calcio. A metà delle due ore di aria la palla va fuori dalla rete del campo, a quel punto viene segnalato il recupero del pallone all’assistente guardia di turno con la solita educazione che si prefigge nei confronti degli addetti ai lavori dello Stato. Costui in modo sdegnato e con toni di impazienza si rivolse a noi dicendoci che non si trovava lì per lavorare per noi…detenuti. Continuando con educazione, chiediamo che apra il cancello così uno di noi recupera la palla, lui ancora esagitato dice che dobbiamo giocare come i cristiani. A quel punto, parte dei ragazzi di origine araba, non capendo il significato e il senso della parola, non conoscendo la lingua italiana, hanno capito che fosse riferita in modo offensivo in quanto loro musulmani come me.

Nel frattempo io spiego ai miei compagni paesani tale significato, la guardia infieriva agitatamente contro la pacifica protesta di incomprensione al momento sedata; chiama i rinforzi della sorveglianza della direzione penitenziaria compreso il comandante e l’ispettore che dispongono l’interruzione dell’ora d’aria e veniamo mandati tutti in sezione e in cella; veniamo chiamati a conferire nell’ufficio sorveglianza con un interrogatorio che aveva gli aspetti aggressivi da parte loro nei nostri confronti, 5 persone, me compreso, di cui 3 tunisini e 2 algerini.

Nell’interrogatorio chiarisco la mia posizione dicendo che la vicenda poteva essere risolta e che non serviva che ci mandassero in sezione interrompendola nostra ora d’aria. A quel punto gli altri quattro vengono mandati in cella dopo un’attesa di due ore in camera di sicurezza di isolamento, tranne me, con la promessa che mi avrebbero fatto andare in sezione nel pomeriggio. A quel punto ne chiedo le spiegazioni, ma il loro atteggiamento e la loro decisione presa era che dovevo stare in camera di sicurezza fino all’indomani.

Alle 18,30 nella sezione inizia una protesta, battendo contro gli sportelli delle porte. A unto i 4 riportati in sezione rivengono di nuovo prelevati dalla sezione e riportati in isolamento separati come me. La protesta si accende con l’autolesionismo di 3 di noi con dei tagli sulle braccia di cui due in modo grave; arriva l’autoambulanza che porta due di noi all’ospedale. Io vengo medicato in infermeria e così passano due giorni, tempo che avviene un’altra autolesione di protesta in sezione da parte di un ragazzo tunisino che era stato riportato il giorno prima in sezione, anche lui medicato in ospedale.

Il giorno seguente, l’11-03-2015, siamo stati chiamati io sottoscritto Abdulllah Mohamed nato in Tunisia, con altri, poi trasferiti (io a Piacenza), Abdel Said anche lui tunisino (trasferito a Parma), Abdel Wahed Taher tunisino (trasferito a Modena), Bedisha Lotfi tunisino (trasferito a Reggio Emilia), infine Hlma Hemli Khalil tunisino (trasferito a Bologna).

Chiamati e portati all’infermeria per le medicazioni, al ritorno nell’isolamento ad un tratto privo di telecamere, veniamo bloccati e aggrediti con i polsi dietro la schiena e hanno cominciato a picchiarci un numero spropositato di agenti con i capi sorveglianti compresi, ispettore partecipe, lui mi scaraventa di persona per terra, aggredendomi con calci, pugni e manganellate in tutte le parti del corpo. Finito mi hanno caricato sul furgone blindo e trasferito direttamente a Piacenza senza alcuna cura medica che constatasse le mie condizioni dopo l’aggressione, senza aver potuto recuperare i miei effetti personali tra cui i vestiti, senza scarpe addirittura.

A Piacenza vengo accolto e visitato dal medico di turno che constata le lesioni inferte con una visita poi diventata specialistica dopo quasi 2 mesi dove refertano la lesione di una costola, la 10 dalla parte destra e fratture varie del costato. A oggi, all’incirca sono passati 4 mesi, ancora devono farmi una TAC per i colpi subiti in testa, tutt’ora riporto i sintomi e dolori emicranici e lo scompenso psicologico di quel giorno.

Dopo 3 giorni di permanenza a Piacenza mi viene comunicata da parte dell’Ufficio Sorveglianza che gli agenti di Ferrara mi denunciano per lesioni aggravate nei loro confronti. Per tale ragione mi sono avvalso la controdenuncia in quanto ciò riportato da loro è falso. Mi fa allibire il fatto che la lungaggine per formulare i miei referti tuttora mi è resa difficile e intralciata dalla commissione di sorveglianza di Piacenza.

In tal caso credo che i detenuti in genere non abbiano diritto di replica e gli viene difficile difendersi e avere giustizia dicendo la verità che, come già detto nel vostro giornale anch’essa deve rimanere prigioniera. Tutti i tentativi di far uscire questa storia mi vengono intralciati e depistati, in quanto non fanno uscire comunicazioni ad altri enti tipo il RIS di Parma e altri.

Vorrei che il caso venisse visionato non dal tribunale di Ferrara, ma da un altro esterno e lontano dall’accaduto, ma ciò mi viene intralciato in tutti i modi coercitivi e psicologici possibili. Con tale storia voglio puntualizzare che la situazione carceraria anche qui a Piacenza non è delle migliori. Vi sono più o meno le stesse metodologie e situazioni pur con diversi esiti e combinazioni, di cui vi informerò. Spero in un futuro di legalità e soprattutto di sicurezza per l’individuo in qualsiasi condizione sociale ed economica.

Più diritti sia agli italiani che sono in sofferenza politica e per gli stranieri che in altre situazioni vengono emarginati.
Vi saluto e saluto tutti quelli che come si trovano in questa situazione.

Distinti saluti Abdullah Mohamed                                                

14 marzo 2015

Abdullah Mohamed, Strada delle Novate, 65/B  –  29100 Piacenza