E’ tempo di crisi anche per il simbolo stesso della crisi. Parliamo dei cosiddetti Compro Oro, spuntati come funghi a ogni angolo della città tra il 2010 e il 2011 ovvero quando l’onda lunga della recessione ha investito anche Piacenza (e altre città medio-piccole, storicamente ricche) con un paio d’anni di ritardo rispetto alle metropoli italiane e al resto d’Europa. Merito dei risparmi, si diceva. Risparmi che proprio a partire da quegli anni i piacentini hanno iniziato a erodere, dapprima dando fondo ai “salvadanai”, poi vendendo l’oro e i gioielli di famiglia. Una realtà in un certo senso penosa, simbolo stesso di un Paese che arranca e raschia il fondo del barile. Ora però il barile è vuoto e ad arrancare ci sono le attività commerciali per le quali il picco della crisi si era tradotto in un boom di fatturato: si è passati dai 600mila euro all’anno quando le vacche erano grasse agli attuali 300mila euro. E basti pensare che in tre anni hanno abbassato le serrande 13mila imprese a livello nazionale.
E Piacenza rispetta questo trend: “La situazione è molto cambiata – conferma Alessandro Moro, tra i responsabili di Emmeoro Italia, gruppo che conta diversi negozi e ha sede proprio a Piacenza – Il volume di affari si è ridotto e ora resta a galla chi è in grado di offrire un servizio più completo, non solo concentrato sul metallo ma anche sulle pietre preziose e altro”. In altre parole, i piccoli (come al solito) soffrono e chiudono; chi si struttura e diversifica le attività sopravvive.
Di certo, l’aria è cambiata per tutti. E lo conferma anche Gianni Lepri, segretario di Oroitaly, l’associazione degli piccoli e medi orefici italiani. In parte – spiega – ha contribuito il prezzo dell’oro, che non rende più conveniente la vendita dei gioielli di casa; in parte però, sottolinea Lepri, ha contribuito il fatto che gli italiani probabilmente non hanno più oro e gioielli da vendere.