Problema nutrie? La proposta: cucinarle. L’opinione del Servizio veterinario

Nutrie in umido a tavola al posto del coniglio o della lepre. Roba da vomitare, direbbero in molti; eppure è un’ipotesi presa in seria considerazione da un gruppo di veterinari modenesi che di recente hanno preso parte al Congresso italiano di teriologia, ovvero quella branca della zoologia che studia i mammiferi. E c’è già chi parla di dieta del futuro: carne tutto sommato buona a prezzi stracciati, visto che di nutrie è letteralmente invasa la campagna del Nord Italia; tant’è che le amministrazioni pubbliche hanno spesso organizzato battute di caccia per evitare o quantomeno limitare i danni provocati da queste specie di castori che, a dire il vero, somigliano più a pantegane giganti. Danni di vario genere, dagli argini dei fiumi crivellati da gallerie che ne minano la solidità e dunque la tenuta in caso di piene, alle coltivazioni devastate da questi mammiferi erbivori che mangiano di tutto. E visto che si possono cacciare – ragionano i veterinari modenesi, come riferito da Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti – perché non portare a tavola questi animali?

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“Io non li mangerei” è la prima risposta che viene in mente, a caldo, a Marco Delledonne, responsabile del Servizio veterinario dell’Ausl di Piacenza che abbiamo interpellato giusto per capire, al di là del ribrezzo provocato dall’aspetto di questi mega-topi, se un domani potremmo trovarci carne di nutria sui banchi dei supermercati o delle macellerie. E la risposta, dal punto prettamente sanitario, è sì. Nel senso che non ci sono preclusioni di razza, come invece è per i topi veri e propri, portatori sani di malattie potenzialmente mortali per l’uomo. “La nutria è un roditore – spiega il dottor Delledonne – ma se è sana, non è assurdo ipotizzare di mangiarne la carne”. Come del resto per tutti gli altri animali considerati appetibili dal punto di vista alimentare. Se una proposta del genere dovesse essere accettata (più che altro dallo stomaco dei consumatori) basterebbe mettere in campo tutti i controlli sanitari e le regole che già esistono per altre specie e la frittata è fatta; o meglio, la bistecca è servita. E si pensi già avviene in Germania e in Francia.

E se da un lato c’è chi pensa alle nutrie in padella, dall’altro c’è la solita Michela Vittoria Brambilla, già onorevole di Forza Italia nonché sottosegretario e ministro dei governi Berlusconi, arcinota per la sua passione animalista, che apre il fronte di una nuova battaglia a tutela proprio delle nutrie. E per farlo, pubblica sui social network una sua fotografia mentre tiene amorevolmente in braccio uno di questi giganteschi roditori: “Lei è Maraya – scrive la Brambilla – Una nutria dolcissima. Diciamo basta a queste crudeli stragi di nutrie”. Potrebbe risultare di un certo interesse anche riportare alcuni dei commenti al post dell’ex ministro, ma selezionarne di non scurrili sarebbe complicato e lasciamo dunque al lettore il piacere di una rapida ricerca su Google.

Di seguito pubblichiamo il comunicato di Giovanni D’Agata in cui si ripercorre anche l’interessante storia della nutria in Italia: animale non autoctono che all’inizio del secolo scorso era allevato per le pellicce.

La dieta del futuro. La nutria in tavola? Avrebbe una carne simile a quella di lepre e coniglio. La proposta veterinaria

In Sudamerica  le nutrie si mangiano da secoli ma, negli anni più recenti, dalle foreste sono arrivati nelle aziende agricole. Infatti, gli agricoltori si dedicano all'allevamento di nutrie, un'attività ormai relativamente ben consolidata nel Paese, dove lì è considerata come carne pregiata nelle diete locali. Anche in Germania prima della Seconda Guerra Mondiale la nutria fu introdotta per sostenere l’economia delle popolazioni  rurali della Repubblica di Weimar. Oggi in Germania e in Francia la carne della nutria è commercializzata e infatti la normativa europea prevede un iter preciso per far sì che le carni arrivino al dettaglio con tutte le tutele sanitarie del caso. Per questo se ne è parlato della nutria al Congresso Italiano di Teriologia in termini che aprono a prospettive originali. I veterinari della AUSL di Modena,  ipotizzano infatti che invece di abbattere le nutrie e poi bruciarne le carcasse, le carni di questi animali, così come accade in altri paesi e come già accaduto anche nel nostro paese negli anni ’50, potrebbero essere messe in commercio per il consumo. In Italia la nutria è stata importata a partire dagli anni '20 per creare allevamenti per la produzione delle pellicce. In seguito alla crisi del mercato delle pellicce e all’abbandono degli allevamenti megli anni 30-40 dovuto alla grave crisi economica e allo scoppio della II Guerra Mondialie, molti esemplari sono stati rilasciati in natura. Oggi la nutria, che vive lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua, ha invaso il centro e nord Italia con piccoli nuclei isolati nell'Italia meridionale e nelle isole. Questa specie provoca notevoli danni alla vegetazione e quindi l'estinzione locale della fauna associata a tali ambienti, come ad esempio il Tarabuso (Botaurus stellaris) e il Falco di Palude (Circus aeruginosus). Inoltre puo' fare dei danni diretti sulla fauna predando uova e pulcini di uccelli che nidificano a terra come il Mignattino piombato e il Tuffetto. La nutria puo' provocare inoltre ingenti danni all'agricoltura per l'escavazione degli argini, che si indeboliscono, e per danni nei campi di cereali e riso. Per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti", a proposito di questo in Italia esiste un grande pregiudizio, poichè la nutria è infatti assimilata, per il suo aspetto, ad un grande topo, e a questo si associa l’impressione che sia un possibile vettore di malattie pericolose per l’uomo. In realtà, le cose non stanno così in quanto i tanti studi epidemiologici e monitoraggi sanitari nell’area di origine della specie e nelle area di espansione, anche in Italia, illustrano una situazione che è analoga in tutte altre specie per il consumo umano che sono gestite in tutta sicurezza, grazie a norme precise a tutela dei consumatori. Pertanto da questo punto di vista si tratta di animali normalmente gestibili in una filiera di lavorazione per il consumo umano come la selvaggina minuta. La FAO  la considera fra le specie più adatte per l’allevamento a scopo di integrazione alimentare delle famiglie rurali dei paesi poveri.