L’odissea di Zimnako, profugo a 12 anni: “Grazie a Piacenza sono salvo”

 Per salvarsi la vita ha attraversato, a soli 12 anni, il Kurdistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia e alla fine è arrivato in Italia, a Fiorenzuola. Lungo l’autostrada dove è stato notato ormai stremato, prima dai passanti e poi raggiunto dalle forze dell’ordine e dai servizi sociali. Quel piccolo profugo si chiama Zimnako, era il 2003, e la sua storia ha davvero dell’incredibile. Oggi, passati altrettanti 12 anni, lo abbiamo ritrovato perfettamente inserito nella realtà locale, abita e lavora a Ziano e ormai, ha confessato, “mi sento piacentino”. 

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“Ha uno sguardo come se dietro ci fosse il vuoto” aveva detto allora Franca Pagani, la pedagogista dei servizi sociali dell'Azienda Usl, responsabile della comunità dove il ragazzino era stato accolto. Ora quel vuoto è stato colmato, in larga parte, da quello che ha trovato sul nostro territorio. “Ho ricevuto un grande aiuto – ha spiegato il giovane, che oggi ha 24 anni -, prima dagli operatori del centro, con i quali sono rimasto cinque anni, e poi dagli abitanti del paese. Qui nessuno nessuno mi considera un extracomunitario. Adesso abito da solo, anche se mi avevano assicurato che sarei potuto rimanere più a lungo. Ma volevo essere autonomo. Comunque li ringrazio davvero per avermi permesso di costruirmi una nuova vita”. 
 
Zimnako è di origini curde, nato e cresciuto a Kirkuk, allora cittadina sotto il controllo del sanguinario dittatore Saddam Hussein, in questi mesi salita nuovamente alla ribalta per l’avanzata dei tagliagole dell’Isis, l’autoproclamato Stato islamico capeggiato dal califfo Abū Bakr al-Baghdādī. “Sono scappato perché non si stava bene, la mia famiglia faceva fatica a tirare avanti con quattro figli e c’era sempre il pericolo della repressione del regime iracheno (che dal 1988 al 1991 ha distrutto circa 4mila villaggi curdi e fatto sparire quasi 200 mila persone, ndr). I curdi, in quella parte del mondo, sono odiati come gli ebrei” ha detto. 
E così la decisione di fuggire: “Ho trovato il coraggio, anche se non è stato facile. Sono arrivato da solo fino in Iran, poi ho trovato altri compagni di viaggio. Il momento peggiore però è stato proprio all’inizio, perché al confine tra Iran e Turchia i miei compagni mi hanno detto: se vieni bene, ma se succede qualcosa non ti possiamo aiutare. C’erano le mine, i cecchini, i posti di blocco. Sarebbe bastato rompersi una gamba e mi avrebbero lasciato indietro, a morire. E’ stato come buttarsi nel mare senza salvagente”. 

A lui, che la sua personale odissea l’ha vissuta, seppur via terra, abbiamo chiesto anche cosa ne pensa dell’ondata di profughi degli ultimi anni: “Capisco che gli italiani abbiano paura, perché con le tante guerre in corso, l’Isis ormai alle porte, bisogna avere timore perché non sai chi entra a casa tua. Da ex profugo, dico che non bisogna accogliere tutti, ma selezionare. Se non sai chi arriva e può sparire dopo pochi giorni è un problema”. 

Dal canto suo, Zimnako non ha trovato nessun problema a inserirsi. Anzi, ci ha tenuto a precisare che “gli italiani non sono razzisti, il cuore di questa gente non ce l’ha nessuno. Io ne ho visitati di paesi, ma non ne ho mai visto uno come l’Italia. Certo che bisogna comportarsi come si deve, cosa che non fanno molti extracomunitari. Io personalmente non sono mai stato vittima di razzismo. Anzi, quando mi incontrano in paese mi salutano tutti, sono sempre gentili”. 
Insomma, alla sua terra non pensa più? “No, certo che ci penso. La mia famiglia è rimasta a Sulaymaniyya (Iraq) e sono tornato nel 2013 per alcune settimane. Ma la situazione è sempre difficile e anche personalmente mi sento diviso a metà. Ormai parlo il dialetto e mi sento piacentino”.