Fino al 15 marzo a Piacenza, da Biffi Arte rimane esposta la mostra di Roberto Fanari. Reduce da un’importante ciclo di mostre, che lo hanno visto protagonista a partire dalla prestigiosa Basilea, per proseguire con la mostra personale alla Deleen Art di Rotterdam e culminata con l’elegante e cosmopolita arte fiera Realism di Amsterdam.
Il titolo “Altri Paesaggi”, indica l’ampliamento del’inesausto percorso di sperimentazione linguistica e tecnica intrapreso da Fanari, che lo ha portato a sperimentare nel corso degli ultimi anni le varie tecniche artistiche, dalla scultura alla pittura, dalla fotografia alla tridimensionalità visiva.
Dalla ceramica al marmo, passando per il bronzo e l’alluminio, la finalità dell’artista è sempre quella di esperire nuovi percorsi percettivi, che coinvolgano lo spettatore in un’esperienza partecipativa.
Le dinamiche di percezione, di partecipazione sensoriale che scuotono lo spettatore dalla passività visiva, sono veicolate in questo caso da un’intensa ricerca estetica incentrata su un genere pittorico secolare.
Il paesaggio, un genere che ha sedimentato nel corso dei secoli le evoluzioni del gusto, della percezione e delle modalità di rappresentazione, ma anche memoria e identità, diviene il laboratorio di sperimentazione per Fanari.
Il percorso di sperimentazione è anche sostenuto da una vis etica, che rappresenta una lotta contro la pioggia d’immagini con cui la società dei mass media ci sommerge ogni giorno.
Anche in questa mostra, le opere, traggono spunto da immagini prelevate dall’immenso repertorio offerto dalla storia dell’arte, fonti iconografiche note, che non mirano a stupire ma diventano strumenti perfetti di ricerca percettiva, depurati dalla loro originalità.
Incisioni che attraverso i secoli hanno offerto una visione ideale del paesaggio, un processo artificiale di costruzione della bellezza costruito attraverso la selezione e ricombinazione di elementi naturali d’eccezione.
Ed è proprio attraverso questo percorso accurato – spesso maniacale – di selezione, prelievo e ricombinazione che Fanari costruisce la sua calcolata balistica visiva, per produrre immagini cariche di senso, che diventano dispositivi visuali che costringono lo spettatore a costruirsi il proprio soggettivo percorso di riflessione e percezione.
Un percorso che è anche un processo di depurazione dalla pervasione iconica dei mass media, costituita da immagini destituite di fondamento semantico e percettivo.
Questo progressivo processo di decantazione degli elementi decorativi e spettacolari, raggiunge in questo nuovo “episodio” un traguardo degno di nota, suggellato da una coraggiosa esplorazione delle declinazioni del bianco, simbolo e motore dell’annullamento della visione
Annullamento solo superficiale, perché è solo perdendo contatto con la omni-visione, con il cinemascope e la realtà aumentata, tornando ad una visione che ricerca di senso e di una geografia percettiva originale che si restituisce la sua vera funzione allo sguardo.
Fanari continua con la sua opera ad alimentare questo sguardo innocente e originale, mai gratuito ma alla fine estremamente gratificante.