Vallisa ai suoi rapitori: “Sì, li perdono. Perché le vere vittime sono loro”

 “Sì, li perdono. Le vere vittime sono loro”. A parlare è Marco Vallisa, il 54enne piacentino che venne rapito in Libia il 5 luglio del 2014 e rimase nelle mani dei suoi aguzzini ben quattro mesi. Un’esperienza terribile, della quale porta ancora i segni. Tanto che “sono uscito dall’ospedale da pochi giorni, ero ancora ricoverato per alcuni problemi che sono subentrati dopo la liberazione del novembre scorso” ha premesso. 

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Lo abbiamo contattato oggi, mercoledì 8 dicembre, forse nel giorno peggiore per chi, come il tecnico di Cadeo, ha conosciuto da vicino l’estremismo islamico. 
Dalla Francia sono arrivati anche a lui gli echi del massacro al giornale satirico Charlie Hebdo, dove un commando armato ha fatto irruzione nella redazione uccidendo a colpi di kalashnikov almeno 12 persone. “Ero a pranzo con mia moglie, quando ho sentito la notizia. E mi ha toccato molto – ha spiegato – però che loro compiano azioni del genere è normale, vivono per questo. Vorrebbero portare tutto il mondo indietro al Medioevo. Ma è il nostro comportamento e la nostra reazione come occidentali che mi fa pensare”. 
E’ con molta lucidità, che Vallisa ha commentato i fatti di Parigi e ci ha confessato che, a distanza di poche settimane, si sente di perdonare i propri sequestratori: “Le vere vittime sono loro – ha detto – vivono fuori dal mondo, conoscono solo il Corano, sono tutti scapoli e non hanno un rapporto sano con le donne. E’ uno dei problemi di queste bande integraliste, infatti le devono rapire”. E ha aggiunto: “Una persona che vive sempre in lotta, in fuga, con armi in mano e pronto ad essere ucciso per non commettere peccato e conquistare un posto nell’aldilà, che non conosce il lato femminile, non ama lo sport, la cultura, la politica. Solo il Corano, l’unica cosa che leggono. A pensarci bene, davvero, le uniche vittime del sistema mi sembrano loro. Per questo non porto odio verso questa gente”. 

Ma i motivi dell’odio che invece gli estremisti islamici covano verso l’Occidente non sono solo da ricercare nei paesi arabi, quanto proprio in casa nostra: “Chi è che ha creato questi gruppi, chi li ha armati? Chi ha fatto cadere lo shah di Persia per sostituirlo con Khomeini? Chi ha deposto Gheddafi in Libia? I francesi sono dietro a molti di questi aspetti, come anche gli italiani o gli americani. Spesso e volentieri per ragioni di business. Perché, dopo il dispiacere che si prova per quello che succede, non vengono raccontati questi aspetti? Per prendere coscienza di errori che poi portano a certi estremismi?”. Domande pesanti come macigni e che, come sempre, rimarranno senza risposta. 

Molto più importante per Vallisa, ora, guardare avanti. Per lui, la sua vita professionale, “perché comunque bisogna lavorare” ha sottolineato, e la sua famiglia composta da tre figli piccoli. A livello locale, ha ammesso, “nessuno si è fatto avanti per offrirmi un’opportunità”. Rimane quindi dipendente della Piacentini costruzioni (ditta di Modena) in stato infortunio, che gli ha assicurato la disponibilità a riprenderlo in servizio. “Se tornerei all’estero? Fosse per me, magari sì. Mia moglie, però, scherzando mi ha detto: se vai in Svizzera o in Svezia non c’è problema, ma se torni in Siria o in Iraq…insomma, bisogna capire il segno che questa esperienza negativa ha lasciato soprattutto nei miei bambini. Devo ancora valutare bene la decisione”. 

Così, al di là di tutto, forse l’unico aspetto positivo del rapimento è arrivato durate queste feste natalizie appena trascorse: “Le ho apprezzate, nella semplicità, come mai prima. Hanno acquisito un valore particolare. Solo rimanere una giornata in compagnia di amici e parenti ha avuto un peso diverso, che le parole non possono neppure descrivere”.