Incontro particolarmente emozionante quello andato di scena questa sera nel salone del palazzo Gotico. L'attore Fabrizio Gifuni, che da qualche giorno può gioire per la nomination all'oscar come miglior film straniero per "Il capitale umano" – ha dato vita a una conversazione volutamente informale con Stefano Rodota' sul tema del rito nel teatro e nel processo penale – prima di deliziare il pubblico con una lettura particolarmente colta in cui ha mescolato l'opera di Shakespeare con quella di Plutarco mediandole nella filmografia di Bergman. "Una mozione di affetti mi lega da tanti anni a Stefano Rodota'. Le persone contano e ricevere l'invito a leggere questo testo ha tanto significati, anche affettivi. Sono curiosamente tanti gli attori che hanno frequentato giurisprudenza, come me pur senza finirla. Il mio ultimo esame e' stato procedura penale, due giorni prima di salire sul palco al teatro romano di Verona per le prove del MacBeth. E' stata la mia ultima esperienza di pura dissociazione interiore. L'entrata in accademia non mi ha consentito di finire il corso di laurea, ma oggi e' un'occasione per riannodare i fili di questa storia. Faccio il mio lavoro per un principio di piacere – ha continuato l'attore: mi consente di annullare la distanza tra quel che siamo e quel che facciamo evitando quella scissione che è fonte delle principali nevrosi e che sconfina nella ricerca esasperata di hobby e tempo libero per recuperare la propria vera natura. Il tempo libero per me non e' nulla. L'unica cosa che esiste e' il tempo della vita. Invece, complice una rivoluzione industriale che ha confinato ogni forma d'arte al tempo libero, all'accessorio, mentre il tempo serio e' relegato alla produzione e al consumo, non riconosciamo più cosa sia l'arte. Il teatro e' rito e se non è quello non è niente. E' ciò che permette di racchiudere i corpi degli attori e degli spettatori in uno spazio magnetico". Tornando al tema della conversazione informale tra il direttore scientifico del festival Stefano Rodota' e Fabrizio Gifuni, si e' parlato di Gadda e Pasolini, due autori eccentrici su cui l'attore ha focalizzato l'attenzione nel corso della carriera. "Le parole di Pasolini e. Gadda pesano di più perché si sono conquistate uno statuto morale ed esistenziale. E utilizzarle mi ha permesso di fare una mappa cromosomica degli italiani percorrendo il novecento per vedere quali tracce questi autori avevano lasciati. Se i libri non entrano nella carne viva, se non ci attraversano sono solo esercizi letterari. Per questo occorre leggerli ad alta voce, per staccarli dalla loro dimensione orizzontale e sentire il corpo dello scrittore dietro quelle parole, facendole così rivivere. E' una cosa che non dovrebbero fare gli attori, ma tutti. Fare l'attore significa far rivivere le parole come corpo. E in quest'epoca in cui tutto sembra smaterializzarsi, liquefarsi, fare questo lavoro significa muoversi in controtendenza, forse in modo anacronistico. Ma in un modo che non può essere sconfitto, perché i corpi non perdono mai la loro materialità".