Si inaugura mercoledì 3 settembre alle ore 18, alla Galleria Biffi Arte di Piacenza, la mostra “Mario Sironi. Una collezione speciale”. La raccolta di Cristina Sironi e Rudolph Klien, a cura di Elena Pontiggia. Sono esposte, per la prima volta in modo organico, le opere provenienti da una raccolta davvero particolare: quella della sorella maggiore dell’artista, Cristina (Sassari 1883 – Monza 1965), e di suo marito, il chimico inglese Rudolph Klien (Dewsbury, York, 1873 – Milano 1932), che di Sironi fu tra i primi mecenati. La collezione, che comprende circa sessanta opere tra dipinti, disegni, acquerelli, incisioni, documenta quasi tutte le stagioni sironiane, ma è di straordinario interesse soprattutto per alcuni inediti giovanili, che mostrano anche alcune sue direzioni di ricerca finora sconosciute. La mostra muove da due vere “chicche”: un Paesaggio del 1899, dipinto da Sironi quando aveva solo quattordici anni e mai esposto prima, e l’altrettanto inedito Ars et Amor, 1901, un ex libris di sapore simbolista che l’artista sedicenne eseguì per la madre Giulia. Seguono il massimo capolavoro del periodo divisionista di Sironi, Madre che cuce, 1905-6, e il famoso Autoritratto del 1910. La mostra sarà visitabile fino al 5 ottobre 2014, da martedì a domenica in orario continuato dalle 11 alle 19, lunedì chiuso. In occasione della mostra, la Galleria Ricci Oddi di Piacenza esporrà al pubblico la Testa di giovane eseguita da Sironi negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale e presente nelle collezioni del Museo dal 1967.
E, ancora, sono da segnalare un gruppo di lavori futuristi, caratterizzati da quella potente solidità architettonica che sarà una costante di tutta la pittura sironiana, e talvolta anche da un colore acceso, che invece rimarrà ineguagliato nella sua ricerca; una serie di ritratti, dipinti e illustrazioni del tempo di guerra, tra cui la suggestiva Scena di guerra e le tavole per la rivista di trincea “Il Montello”, 1918; i ritratti a puntasecca di Margherita Sarfatti, Ada Negri, Bontempelli, realizzati da Sironi nel 1916, quando era ospite della Sarfatti nella sua casa di Cavallasca sulle colline comasche; alcune vignette per “Il Popolo d’Italia”, il quotidiano di Mussolini.
Il percorso espositivo si chiude infine con alcune opere degli anni venti, tra cui un inedito Paesaggio urbano del 1920; lo splendido disegno Nudo di donna con bicchiere del 1922-23 (amatissimo dalla Sarfatti, che lo scelse per documentare Sironi nel saggio Segni colori e luci del 1925); numerosi ritratti di famiglia, come quelli di Cristina, di Klien e della loro figlioletta Gladys (1922); l’imponente Lago del 1926, e vari disegni e tempere che testimoniano la ricerca di Sironi nell’ambito della pittura murale degli anni trenta. Accompagna la mostra, che rimarrà aperta fino al 5 ottobre, un catalogo con un testo introduttivo di Elena Pontiggia e le schede analitiche di tutte le opere esposte.
Mario Sironi nasce a Sassari nel 1885, da Enrico, ingegnere milanese, e Giulia Villa, fiorentina. Nel 1886 si trasferisce con la famiglia a Roma. Nel 1898, a tredici anni, rimane orfano di padre. Nel 1902 si iscrive alla facoltà di ingegneria, che abbandona l’anno dopo per una crisi depressiva. Frequenta invece la Scuola libera del nudo di via Ripetta e lo studio di Balla, diventando amico di Boccioni e Severini. Con Boccioni compie un viaggio a Parigi nel 1906. Due anni dopo si reca in Germania, dove ritornerà nel 1910-1911. Intanto, nonostante le ricorrenti crisi nervose, inizia a dedicarsi all’illustrazione e alla pittura. Nel 1913 aderisce al futurismo, dandone un’interpretazione soprattutto volumetrica. Allo scoppio della guerra si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e poi nel Genio. Congedato nel 1919, si sposa a Roma con Matilde Fabbrini, con cui era fidanzato dal 1915. La coppia, che avrà due figlie (Aglae, nel 1921, e Rossana, nel 1929), si separerà nel 1932 e l’artista si legherà, tra alterne vicende, a Mimì Costa. Sempre nel 1919 si trasferisce a Milano, dove dipinge i primi paesaggi urbani. La sua pittura si orienta verso forme potenti e sintetiche, di ispirazione classica, segnate però da una drammaticità moderna. Margherita Sarfatti è tra i primi critici a segnalarlo. Fin dal 1919, intanto, l’artista aderisce al fascismo. Dal 1921 disegna illustrazioni per il “Popolo d’Italia”, con cui collabora fino al 1942 (dal 1927 al 1931 anche come critico d’arte). Nel 1922 è tra i fondatori del Novecento Italiano. Col gruppo, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una “moderna classicità”, espone in tutte le principali rassegne in Italia e all’estero, difendendone le ragioni quando, nel 1931-1933, viene colpito da accese polemiche. Negli anni trenta, però, Sironi si concentra soprattutto sulla pittura murale, divenendo il maggior teorico e artefice del ritorno alla decorazione classica. Pubblica il Manifesto della pittura murale, firmato anche da Campigli, Funi e Carrà (1933). Nel 1943 aderisce alla Repubblica di Salò. Il 25 aprile sta per essere fucilato e si salva grazie all’intervento di Gianni Rodari, partigiano ma suo estimatore. Il crollo dei suoi ideali politici e l’angoscia per la morte della figlia Rossana, che si uccide giovanissima nel 1948, lasciano un segno nella sua pittura, in cui la tensione costruttiva si lascia incrinare da un senso di frammentarietà. Mario Sironi muore a Milano nel 1961.