E’ partito dalla capitale Kampala in direzione Moroto, capoluogo dell’arida regione del Karamoja, il gruppo di Kamlalaf in viaggio in Uganda con Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo. A raccontare emozioni e sensazioni, tappa dopo tappa, oggi è Michela Gaino.
“Dopo dieci giorni finalmente mi trovo un po’ da sola. È strano come a volte si abbia voglia soltanto di silenzio, in questo viaggio mi serve specialmente per metabolizzare. Non ho ancora avuto veramente tempo di fermarmi e pensare a quello che sto facendo. Nonostante l’african time, mi sembra tutto così veloce e frenetico come le strade di Kampala: ora tutto quello che sento è il cri-cri di un grillo alternato dal verso di qualche altro insetto notturno.
La partenza per Moroto sa di nostalgia, mi ero abituata a Giorgio e Cristina (i referenti di Cooperazione e Sviluppo in Uganda), alla sede dell’associazione, ai viaggi in macchina per raggiungere i Missionaries of the Poor o la Great Valley School, al muezzin che ci teneva compagnia al sorgere e calare del sole.
Sulla strada per il Karamoja non riesco a dormire, i miei pensieri continuano a scorrere lentamente, come le acque del Nilo, che impiegano tre mesi dalla sorgente a raggiungere il Mar Mediterraneo. Continuo a pensare alle persone che ho incontrato e che con molta probabilità non rivedrò mai più, continuo a pensare a tutte le cose che ho fatto stupendo anche me stessa. Questo viaggio aiuta a conoscere lati, sensibilità, forza che non pensavo di avere. Non sono solo io quella che sta facendo del volontariato; tutte le persone che mi hanno sorriso, salutata, parlato, tenuto la mano mentre ero con loro, non lo sanno, ma mi hanno aiutata più di quanto io non abbia aiutato loro. Continuo a pensare specialmente alle cose che non ho fatto per mancanza di tempo, come chiedere a quel bambino perché ci siamo parlati con degli sguardi per due giorni senza mai avvicinarci l’uno all’altra, se non il giorno in cui ho dovuto dire addio alla sua scuola. Mi ha salutata con un bacio dicendomi “see you tomorrow”, ma io sapevo che un tomorrow non ci sarebbe stato. Il sorriso di Jacob sarà qualcosa che porterò sempre con me.
Intanto la vegetazione si fa sempre più bassa, le macchine che incontriamo sono sempre meno come del resto l’asfalto. Pensavo di essere in sintonia con l’Africa dopo una settimana che sono qui, invece la savana mi coglie quasi impreparata. Scorriamo tra una buca e l’altra di fianco a capanne, acacie, monti, anziani in bicicletta, bambini che portano taniche d’acqua sulla testa e io non mi rendo ancora conto di trovarmi veramente nella “perla” dell’Africa. Mi colpisce la dimensione e la struttura di queste case di fango e legno. I panni stesi sul tetto di paglia o addirittura per terra. Alcuni dalla strada salutano, altri guardano timorosi tutti questi Muzungu che sfrecciano carichi di bagagli. Mi sento come quel gruppo di irlandesi quando eravamo dai Missionari dei Poveri uno dei primi giorni, giusto il tempo di lasciare qualche scarpa, di scattare una foto e andare. Mi sento un turista. Ma sono solo di passaggio? Mi sento così a casa seppure io sia immersa in un Mondo totalmente diverso da quello che sono abituata a vedere e vivere.
C’è ancora troppo da conoscere, tre settimane non basteranno per le danze da vedere, i canti da ascoltare, i cibi da assaporare…e chissà che volto avrà questo continente al mio ritorno.
Forse sarò io a dirgli “see you tomorrow”.