Ichino: “Il lavoro non manca, bisogna cercarlo. Fondamentale la mobilità”

Non avrà portato in dote contratti di lavoro concreti, ma quantomeno il professor Pietro Ichino ha consegnato ai giovani piacentini una speranza: “Il lavoro in Italia c’è, forse non nella misura in cui dovrebbe esserci. Tuttavia vi sono interi giacimenti di lavoro che potrebbero essere attivati e che non lo sono per gravi difetti di informazione”. Ed ha poi aggiunto: “E’ chiaro che il lavoro no cade dall’albero come un frutto maturo. Va cercato. E più una persona è disposta a spostarsi e più ci sono possibilità di trovarlo. La mobilità è fondamentale”. Ad ascoltare il noto giurista, economista e professore di Diritto del Lavoro – intervenuto al WorkCoffee sullo Stradone Farnese per l’incontro organizzato dal Pd provinciale nella persona di Benedetta Maini “Il lavoro spiegato ai ragazzi” – c’erano molti giovanissimi i quali non hanno rinunciato a porre numerose domande all’illustre ospite. L’impressione di oggi è che quando un ragazzo esce dal percorso di formazione scolastico e tenta di entrare nel mercato del lavoro si trovi di fronte “a un buco nero”. “In realtà – ha spiegato Ichino – non è affatto così. Esistono flussi di lavoro e di domanda-offerta che purtroppo non si conoscono e che i giovani faticano a individuare”. Un esempio per tutti: nel 2012 in Italia sono stati conclusi 1milione e 700mila contratti di lavoro a tempo indeterminato. “Un numero importante che denota come, se si osserva bene, ci sono molte aziende che cercano lavoratori spesso senza successo”.

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E’ il sistema Italia che difetta. In particolare, secondo Ichino, sono i centri per l’impiego che nel Belpaese non funzionano come dovrebbero. “Essi non forniscono ai giovani le informazioni utili perché non conoscono i posti scoperti”. E se in Svezia il 40% dei giovani dimostra di conoscere bene il reale flusso di offerta lavoro, anche manuale, in Italia la percentuale è ferma al 5%. Ma i centri per l’impiego sono in buona compagnia nello spartirsi le colpe di questa pesante “disinformazione”: accanto a loro ci sono i centri professionali di formazione “che producono un tasso di occupazione inadeguato e che, per salvare se stessi, rinunciano a rilevare i tassi di coerenza (numero di lavoratori che vengono occupati in base alle attitudini sviluppate nel percorso di formazione, ndr) come invece dovrebbero fare”. Insomma, rispetto agli Stati del centro-nord Europa, l’Italia non aiuta come dovrebbe i suoi giovani “che già devono pagare i torti fatti loro dalla mia generazione i termini di debito pubblico”. Un vero peccato, se si pensa che “da qualche mese – ha concluso Ichino – il nostro paese inizia a intravedere la ripresa con il numero di aziende in fase di espansione che sta superando quelle in recessione”.