Piacenza, da qualche anno, ha conosciuto l’immigrazione di massa con le conseguenze che – nel bene e nel male – ogni giorno documentiamo. Ma, quando si parla di solidarietà, non si può dimenticare il Centro migranti Scalabrini di via Primogenita, primo dagli anni ‘90 ad assistere chiunque si presenti alla sua porta. E anche data la posizione, in prossimità del quartiere Roma, si può considerare il principale avamposto di aiuto ai bisognosi, soprattutto stranieri. In mattinata abbiamo fatto visita alla struttura, che ci ha dato il benvenuto con i suoi volontari.
All’ingresso l’accoglienza è affidata a Prema, originaria dello Sri Lanka che, con gentilezza tutta asiatica, smista le persone in arrivo in base alle esigenze. Il fulcro, per ogni richiesta, è comunque suor Marina, che raggiungiamo nel suo studio al secondo piano. “Sul lavoro, purtroppo, abbiamo poche possibilità. Però tornate dopo Pasqua e vediamo il da farsi”, dice rivolgendosi a un gruppo di signore ecuadoriane arrivate a chiedere un sostegno: “Per 11 anni abbiamo lavorato da un anziano. Poi è venuto a mancare e non sappiamo come andare avanti”.
Le richieste sono molte e tra le più disparate, vista anche la mole di persone che si presenta ogni giorno nel centro ma “non è più come 24 anni fa, quando iniziammo – ha spiegato la missionaria scalabriniana -, un tempo gli stranieri li portavamo d’estate nei campi a lavorare, racimolavano qualche soldo e poi riuscivano a trovare altre strade. Ora non c’è proprio lavoro e quindi non possiamo fare altro che confortarli con l’ascolto, con un pasto caldo, qualcosa per vestirsi e poi informarli sui servizi a disposizione in città”.
Ma nella grande struttura di via Primogenita, proprio dietro il centro commerciale di Borgo Faxhall, non mancano le attività. Forse la più importante riguarda l’educazione della lingua italiana: per i corsi di alfabetizzazione sono a disposizione quattro aule con 16 insegnanti, tutti volontari, e la possibilità di insegnare a 80 persone al giorno. Alla fine del corso, inoltre, viene rilasciato un attestato di frequenza, valido per il successivo iter che gli stranieri devono compiere in questura.
Non solo, perché d’inverno il centro si affolla, e oltre alla lingua i volontari cercano di dare qualche rudimento persino sulla salute, sulla cucina e sulla socializzazione.
Quante persone si rivolgono al centro migranti? Difficile dirlo. Ma quando suor Marina estrae i faldoni che riguardano solo gli “schedati”, cioè coloro che di frequente chiedono aiuto, è facile rendersi conto che si tratta di un conto impressionante e in continuo incremento.
“Prima degli anni ‘90 a Piacenza si vedevano solo stranieri che frequentavano le università. Poi sono arrivati i somali, gli albanesi e, infine, tutta l’ondata dal nord e centro Africa – ricorda Giuseppe Morsia, volontario fin dagli esordi nella struttura, che prima era ubicata direttamente in via Roma. “I migranti non sono tantissimi, se li confrontiamo a noi piacentini. Se ogni famiglia istituisse un rapporto di aiuto con loro, non solo per mangiare, avere una casa ma anche per avere un ascolto, sarebbe un arricchimento personale. E ci sarebbero meno difficoltà, perché gli stranieri finiscono per aggregarsi tra loro e non integrarsi con il territorio – tiene a precisare Giuseppe -, ma non bisogna avere pregiudizi. Vengono per cercare una vita migliore, provenendo da paesi disperati e hanno intrapreso un percorso a rischio della vita. Dovremmo ricordarci che già nell’800 il Beato Scalabrini si era preoccupato di dare una mano ai nostri emigranti all’estero. Oggi dovremmo avere più carità per queste persone che cercano un pezzo di pane”.
Tra coloro che hanno deciso di impegnarsi, in primo piano c’è il lavoro degli insegnanti volontari. Come Francesca Segalini: “Ero perplessa. Avevo insegnato poco e non credevo di essere in grado. Invece è molto gratificante, perché hanno molta voglia di imparare, rispetto al ricordo difficile che avevo degli studenti italiani”. I programmi, poi, non sono certo così stringenti: “Non ne abbiamo di stabiliti, perché dipende da chi arriva. La scuola ha dei libri semplici, utili per poter dialogare dal medico, al mercato. In seguito passiamo ai giornali e all’attualità, oppure alla geografia dell’Italia per dargli una localizzazione”.
A un certo punto suor Marina guarda l’orologio, si avvia nel suo studio e ne esce con un campanaccio in mano: “Dlin dlon, dlin dlon”. E’ il segnale che le lezioni sono finite. Donne velate e ragazzi in tuta escono soddisfatti dalle classi e tornano alla loro vita e alle loro difficoltà di ogni giorno. Prema, sulla porta, li saluta con un sorriso e per qualche ora, grazie al Centro migranti Sacalabrini, forse si sono sentiti cittadini come tutti gli altri.