“La scultura ha bisogno di forza”. Sarà per questo che nel suo laboratorio, al civico 12 di viale Abbadia a Piacenza, tra angeli che hanno alzato il gomito, Capitan America che ha esagerato con gli hamburger, Adamo in forma di gorilla, un Peter Pan cresciuto con le sembianze di Gollum del Signore degli anelli, Pinocchio che impara a volare da un passero che tiene fra le mani e un Efesto che scaraventa un suv dalla rupe , non troviamo solo i classici oggetti del mestiere.
La panca, il sacco e qualche peso, però, non stonano in questa “terra di mezzo”, com’è stata definita, nella quale lavora e crea le sue opere Giuseppe Tirelli, scultore piacentino d’adozione – visto che è nato in Tanzania nel ’57 – e dove ci ha ospitato per una chiacchierata in vista della collettiva che verrà inaugurata oggi, sabato 5 aprile dalle 17.30 alla Galleria delle visioni in via Calzolai 80.
Con lui alcuni degli artisti che ha incontrato in questi anni e che ha voluto portare in città nella mostra dal titolo “Ordine e caos”, tra i quali Bertoldi, Nannini (Matteo e Nicola), Ossola, Moggia, Puggioni e Quaresima.
Lo stesso ordine e lo stesso caos che regnano nel suo laboratorio: “Ci sono artisti dall’ordine quasi monacale. Io non sono così, per me è un luogo in cui esprimermi e non riesco a sistemare mentre lavoro. Aspetta, ti pulisco lo sgabello, se no ti macchi”.
Discutere con Tirelli è come farlo con un vecchio amico, con una di quelle persone che, se le incontri al bar, anche se non le conosci ti vien voglia di scambiarci due parole e poi, magari, vedi che sono passate ore.
“Oggi c’è troppa improvvisazione – premette -, gli artisti, o presunti tali, hanno solo l’idea ma non studiano la tecnica. Il disegno, prima di tutto. Non lo insegnano quasi più neppure nelle scuole. E si vede”.
Tirelli ha frequentato l’Istituto d’arte “Gazzola” alla fine degli anni ’80, dove è arrivato tardi, a quasi 31 anni “e per due non sono sceso al piano della scultura. Non mi interessava, pensavo solo al disegno”. Poi, quasi per caso, la folgorazione, i primi apprezzamenti e la carriera che inizia a prendere forma: “Ho fatto tutto da solo, non ho avuto maestri. C’è chi ha avuto la fortuna di seguire dei maestri, che li facevano accedere ai loro laboratori. Io no. Disegnavo pensando alla scultura e, infatti, come vedi alcune cose han preso forma”.
La sua è una ricerca molto personale, che fonde i caratteri della scultura classica con atmosfere contemporanee futuribili e cibernetiche. E che non è passata inosservata. Il grande critico d’arte Edward Lucie-Smith, per esempio, lo ha collocato tra gli artisti della “scultura neofigurativa italiana”.
“Capisci che può diventare un lavoro quando senti di aver suscitato delle emozioni. Richiedono le tue opere non solo perché sei di moda o sei sponsorizzato, ma perché alla persone infondi qualcosa”. E non sono mancate, ammette, le influenze di Piacenza: “Certo, non so se c'è stata una scuola piacentina ma sicuramente la nostra zona ha avuto molti grandi artisti, da Braghieri a Cinello, passando per Canepari, Foppiani e Tagliaferri, fino ad arrivare ad Armodio”. E in tutti, spiega, “possiamo trovare un riferimento onirico, magico, fantastico. Il mondo è quello del racconto ma con una soluzione che fa i conti con l'antico e torna nel contemporaneo”.
Tirelli, pur collaborando con importanti gallerie internazionali e trovandosi in partenza proprio per New York, sembra non volersi staccare da Piacenza: “La città mi ha dato molto e qualcosa cerco di restituirle. Mi spiace solo che i giovani, che vedo uscire dalle scuole anche piacentine, non studino abbastanza il disegno. Hanno molte idee ma poche vengono concretizzate, eppure si sentono già grandi artisti. Perché non vengono qui, nel mio laboratorio o da altri e si mettono alla prova? Io sono pronto ad ospitarli, nei limiti del possibile”.
Meno bonario il giudizio sul mondo dell’arte e sulle istituzioni che, rispetto al passato, sembrano aver dimenticato l’importanza di investire in questo campo del sapere: “I critici raccontano spesso le loro storie, non quelle delle opere e tra i mercanti, ai quali ti devi affidare, ci sono dei veri e propri squali. Chissà come mai degli artisti di Piacenza se ne parla più fuori che in città. Ma non ci sarà mica solo la coppa e il salame da esportare e difendere, no? Non si investe più in cultura eppure l’Italia è un’opera d’arte di per sé stessa e i turisti vengono per questo, forse più che per il cibo”.
Come dargli torto? E come non apprezzare uno scultore affermato che, non solo ti ospita nel suo “rifugio” e, invece di liquidarti con qualche frase fatta nel rispondere alle domande, non la smetterebbe più di parlare di ispirazione, di giovani, di ricerca della bellezza e di umiltà: “Come si fa a sentirsi dei maestri? Al massimo puoi avere dei grandi riferimenti di estetica. Perché han già fatto tutto i greci e senza contare durante il Rinascimento. Per questo mi sento, ancora, solo un allievo”.