Prosegue, venerdì 4 aprile alle 21, la Stagione Concertistica 2013/2014 della Fondazione Teatri di Piacenza con la performance dei Cameristi della Scala accompagnati per l'occasione dal violinista Francesco Manara. Il concerto, intitolato Otto stagioni, vedrà l'esecuzione in sequenza de Le Quattro Stagioni da Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione op. 8 di Antonio Vivaldi (1678-1741) e Las cuatro Estaciones porteñas di Astor Piazzolla (1921-1992) al fine di mettere in evidente risalto le affinità e le differenze dei brani. Se Vivaldi si ispira molto fedelmente alla natura e ai cambiamenti che questa subisce al mutare delle stagioni, Piazzolla invece sembra descrivere la varietà delle emozioni umane, in un clima che non conosce i rigidi freddi europei, dove l’aria è costantemente densa e pregna di sensualità e la musica è attraversata dal più ampio spettro degli stati d’animo: da una calma dolce o piena di dolore alla violenza della passione.
Vivaldi pubblica le Quattro stagioni in apertura della sua op. VIII, che porta il titolo ad effetto Il Cimento dell'Armonia e dell'Inventione. La raccolta di 12 concerti venne stampata ad Amsterdam dall'editore Le Cène intorno al 1725. Dalla dedica al nobile boemo conte Morzin apprendiamo che le Stagioni circolavano manoscritte già da qualche anno, e che l'autore aveva infine deciso di stamparle insieme ai sonetti che ne illustravano il contenuto. La musica esprimeva in maniera precisa e puntuale le situazioni descritte in queste brevi poesie, che contenevano, dice Vivaldi, «una distintissima dichiarazione di tutte le cose, che in esse si spiegano». Ben presto la musica delle Stagioni fece a meno dei sonetti, affidandosi solo alla sua efficacia descrittiva. Ancora oggi questa musica ci conquista con la sua freschezza e la sua immediatezza. A colpire maggiormente di queste composizioni è di certo il modo di rappresentare la natura: ruscelli, venti, canti d'uccelli, dipingono un paesaggio agreste idealizzato. Ma ancor di più l'uomo, colto nelle sue occupazioni domestiche, negli atti della vita quotidiana. L'uomo è immerso nella natura perché vive in armonia con essa. Questi concerti ci trasmettono un messaggio ottimistico: la natura è amica dell'uomo, i temporali e le tempeste durano il tempo di una divagazione musicale, c'è sempre un arcobaleno pronto a rischiarare il cielo.
Vivaldi fu un grande sperimentatore di tecniche strumentali innovative. Il desiderio di disegnare con pochi tratti una situazione ben precisa lo stimola a ricercare le combinazioni timbriche più efficaci. Questo aspetto della sua musica stupiva gli ascoltatori della sua epoca e anche oggi dovremmo lasciarci sorprendere da questa musica. Uno degli esiti più interessanti della riscoperta della prassi musicale antica è stato proprio il recupero di una dimensione timbrica sempre diversa nell'esecuzione. E questa dimensione sonora è diventata patrimonio comune di tutti gli esecutori.
Analizzando nello specifico i quattro concerti si possono notare rilevanti differenze tra loro, così come differenti sono le stagioni atmosferiche.
La Primavera è raffigurata come una danza leggera: cantano gli uccelli e mormorano i ruscelli. Un temporale turba la quiete, ma per poco: riprende il canto degli uccelli e con esso la danza primaverile. Nel Largo troviamo il capraro che dorme su un prato, con a fianco il cane che abbaia. L’ultimo movimento descrive una danza pastorale, accompagnata dalla zampogna.
L’Estate è una stagione crudele, perché gli uomini e gli animali perdon le forze per l’eccessivo calore. Questo stato di prostrazione viene descritto nel movimento lento, in cui viene suggerito il ronzio di mosche e insetti. Già nel primo movimento irrompeva Borea, e spazzava via gli zefiri primaverili. Un pastorello piange vedendo avvicinarsi un terribile temporale. Nell’ultimo movimento infatti la tempesta si scatena, e devasta il raccolto.
L’Autunno è una stagione benigna: si raccoglie l’uva e ci si abbandona ai suoi effetti. La vittima dell’ebbrezza viene disegnata con figurazioni musicali sghembe e il movimento lento ci presenta un gruppo di ubriachi che dormono. L’ultimo descrive con particolari realistici la caccia: vediamo la preda spuntare dalla macchia, i cani che l’inseguono fino a raggiungerla, e la preda, stremata, muore.
L’Inverno è caratterizzato da un freddo glaciale, che fa battere i denti e rabbrividire. Il Largo descrive il piacere di trovarsi in casa mentre le gocce di pioggia tamburellano sul tetto, e godersi il calore del fuoco crepitante. Nell’ultimo movimento si alternano cadute sul ghiaccio e immagini di pattinatori che sfrecciano spericolati. Sembrano figurini di un celebre quadro di Brueghel il vecchio intitolato Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli. L'immagine dei pattinatori introduce l'elemento ironico. Ed è su questa nota che si chiudono le Stagioni.
Quello che accomuna le Stagioni vivaldiane e le Cuatro estaciones porteñas di Astor Piazzolla è innanzitutto la curiosità nei confronti degli aspetti più disparati della vita umana. Troviamo in questi pezzi la stessa varietà di situazioni, la stessa attenzione ai piccoli particolari. Tutto viene espresso attraverso il linguaggio del tango, dotato di una gestualità e di una corporeità travolgenti. Questo lo rende il linguaggio più adatto a esprimere la vita di una città cosmopolita e dinamica come Buenos Aires, cui sono ispirati questi brani (porteño si chiama appunto l’abitanti di quella città, e il nome evoca al contempo l'idea di un porto aperto sul mare). Buenos Aires è terra di passaggio e di mescolamento di popolazioni diverse. Il tango nasce proprio da questa miscela. All'inizio è una danza un po' rozza ballata dagli emigranti italiani, spesso fra soli uomini, solo in seguito si trasforma in una danza di seduzione, agile e scattante. Per Piazzolla il tango è un linguaggio universale capace di cogliere tutte le sfumature della vita umana.
Egli scrisse le Cuatro estaciones porteñas in tempi differenti, fra il 1965 e il 1970, per il suo primo Quintetto, in cui egli stesso suonava il bandoneon, Antonio Agri il violino, Oscar Lopez Ruiz la chitarra, Kicho Diaz il contrabbasso e Jaime Gosis il piano. Il primo pezzo a veder la luce fu Verano porteño, composto nel ’65 dopo la prima tournée del Quintetto negli Stati Uniti e in Brasile. Faceva parte delle musiche di scena di una pièce teatrale di Alberto Rodriguez Muñol, intitolata Melenita de oro. Le tournée del Quintetto erano state promosse dal governo argentino per mostrare all’estero le nuove tendenze della musica nazionale. Sempre nel 1965 Piazzolla collabora con Jorge Luis Borges mettendo in musica le milonghe della raccolta poetica Para las seis cuerdas. Quelle milonghe ritraggono figure leggendarie di malviventi dei bassifondi porteñi, dai nomi evocativi, Jacinto Chiclana, Manuel Flores, Don Nicanor Paredes.
E un tono canagliesco si può cogliere nella Primavera porteña. Il coltello, compagno inseparabile del guapo, è evocato dai glissandi stridenti dei violini, che sembrano voler sfigurare la musica. Una ampia gamma di effetti percussivi accompagna l’esposizione del tema principale, nervoso e scattante. Se da un lato Piazzolla sperimenta un sound decisamente inedito, dall’altro fa ricorso alla tecnica ‘arcaica’ del contrappunto, con l’entrata scaglionata degli strumenti, per sbalzare il tema principale. In seguito la spinta propulsiva si affievolisce portandoci direttamente alla sezione lenta, che ha il tono di un canto nostalgico. Infine si torna al tema iniziale, che viene sviluppato con violenza ancora maggiore. La struttura tripartita del brano lo rende assai simile ai concerti vivaldiani. Piazzolla gioca su questo parallelismo, introducendo in Verano porteño alcuni passaggi della parte solistica dell'Estate vivaldiana, per introdurre la sezione lenta centrale. La citazione ha un tono ironico e vagamente dissacrante, che conferma il carattere sperimentale di questa musica. La transizione alla ripresa del tema della prima parte è incalzante e frenetica. Anche in questo brano i glissandi del violino solista giocano un ruolo fondamentale. Il finale, a sorpresa, riprende quello dell'Estate di Vivaldi, seguito da un brusco scatto conclusivo.
Otoño porteño suggerisce il cielo plumbeo di una giornata di pioggia su Buenos Aires. È il brano più rapsodico dei quattro. Introdotto dal timbro estraniante del guiro, il tema principale prende gradualmente forma ed energia. Un ampio assolo del violoncello conduce al movimento lento, dominato anch'esso dal violoncello. Tutto il brano è imprevedibile e trasognato.
Diverso da tutti gli altri, Invierno porteño, inizia con un movimento moderato dal tono mesto, e si anima a tratti con accelerazioni improvvise. L’estrema volubilità espressiva che pervade questo brano traccia un’immagine inedita dell’Inverno. Il senso di perdita che caratterizza il tango viene qui amplificato fino a diventare emblema di una condizione esistenziale. L’Inverno non è solo una stagione dell’anno, ma uno sguardo melanconico sulla vita.
Il finale riserva una sorpresa: Piazzolla ci conduce a scoprire gradualmente che i giri armonici del tango, fortemente ripetitivi, sono poi gli stessi di un brano simbolo del barocco, il Canone di Pachelbel. L’effetto è un po’ spiazzante: la citazione è ironica, ma produce un effetto rasserenante che chiude l’intero ciclo su un tono ottimistico.
Per info e biglietti è possibile rivolgersi alla biglietteria del Teatro Municipale di Piacenza, in via Verdi 41, al numero di telefono 0523.492251 o al fax 0523.320365 o all'indirizzo mail biglietteria@teatripiacenza.it.