C’è un paradiso, sulle nostre montagne, che non viene sfruttato. Anzi, spesso e volentieri, ha subito ferite che richiederanno anni prima di rigenerarsi. Parliamo del lago di Trebecco, situato in media val Tidone e formato da uno sbarramento chiamato diga del Molato che, intercettando le acque del torrente Tidone, forma un bacino artificiale situato per la sua parte nord sul territorio comunale di Nibbiano, in provincia di Piacenza e per la parte sud su quello di Zavattarello in provincia di Pavia.
Questo è il paradiso dei pescatori ma, come spesso accade, non sembra essere salvaguardato come dovrebbe. Con buona pace della flora e della fauna e, come se non bastasse, delle potenzialità economiche che potrebbe produrre per l'indotto locale. La questione è tanto semplice quando paradossale ed è stata messa in evidenza dall’ultimo svaso, deciso dal Consorzio di bonifica, del novembre dello scorso anno.
Lo svaso è, in buona sostanza, un’operazione di pulizia della diga: il bacino artificiale viene svuotato facendo defluire l’acqua, per poi poter eliminare lo strato di fango che si viene a formare sul fondale. Durante i lavori è normale che alcuni pesci muoiano, a causa del fango e dell’alta velocità con cui viene fatta scorrere l’acqua “ma quella volta fu un’ecatombe”, avevano denunciato pescatori e ambientalisti, che parlarono di di migliaia di pesci morti, descrivendo un vero e proprio disastro ambientale.
Per questo Vaimer Mazzoni, responsabile provinciale dello Spinning club Italia – che già allora fu molto duro con il Consorzio di bonifica – non solo è voluto tornare sul tema ma ha deciso di proporre con la sua associazione un vero e proprio progetto di rilancio della pesca, in collaborazione i cittadini, le istituzioni e lo stesso Consorzio di Bonifica. Perché, ha spiegato, nel lago in questione gli animali si riproducono naturalmente, senza bisogno di immissioni esterne e basterebbe concordare gli svasi per poter salvare i pesci e permettere al lago di diventare meta turistica anche da fuori provincia.
“Gli appassionati, per fare la stessa pesca che si svolge al Molato, si spostano a loro spese in Irlanda o in laghi dei paese dell’est. Spendono, in media, dai 1.500 ai 2mila euro e raccolgono, per esempio, dai 70 ai 100 lucci in una settimana – ha spiegato – mentre noi, quando gli svasi non influiscono, al Molato peschiamo dai 20 ai 30 esemplari al giorno. Facendo i conti, conviene ancora andare altrove?”.
Sembrerebbe di no. Anche perché le specie di pesci che vivono nel lago di Trabecco hanno uno sviluppo naturale e molto rapido, in particolare il luccio, che in altre parti d’Italia è salvaguardato mentre qui viene “sprecato” ad ogni svaso. “Le taglie di accrescimento sono uniche. Salvaguardando buona parte della popolazione – come hanno dimostrato in altre regioni – si potrebbe arrivare nel giro di due-tre cicli ad una interessante popolazione che richiamerebbe pescatori da tutta Italia e non solo”.
Gli esempi non mancano, ci ha spiegato Mazzoni. Quattro anni fa, infatti, dopo l’ultima operazione di pulitura della diga, era rimasta solo una popolazione di pesci di dimensioni molto piccole. Ma via via che passarono gli anni, si era arrivati ad un’aumento esponenziale di visitatori in base alla taglia. “Venivano da Lombardia, Piemonte, Liguria, oltre agli stessi piacentini. Era bastato reintrodurre 12 lucci per avere in seguito una quantità incredibile di esemplari”. Così, senza tornare sulle polemiche iniziali, lo Spinning club Italia chiede che il Consorzio di bonifica ascolti le idee per tutelare il bacino e rilanciarlo a livello nazionale: “Non si può pensare solo al fattore idraulico della diga ma anche dalla conservazione degli animali che ci vivono – ha detto Mazzoni -, anche perché nel penultimo svaso, avendoci contattato, eravamo riusciti a salvare molti pesci, di tagli adulta, quindi adatta alla riproduzione. Ma nell’ultimo, non avendoci concesso di farlo nel fine settimana, quindi con più mezzi e volontari a disposizione, sono morti e andati persi quintali di pesce senza distinzione”.
Ora l’associazione dei pescatori, che si è ritrovata nei giorni scorsi per discutere del progetto, ha in mente una serie di incontri con la popolazione per “sensibilizzarla rispetto ai vantaggi che ne avrebbe con una maggiore tutela dei pesci che vivono nel lago. La gente, oltre a pescare, se viene da fuori provincia spende per mangiare e bere, per dormire e quindi sarebbe utile a tutto un indotto”.
Molte le specie che si trovano nel bacino, dal luccio alla carpa, dall’alborella ai cavedani “e non c’è nessun bisogno di immissioni. Non ci sono costi per immettere il pescabile e quindi è vantaggioso rispetto a qualsiasi altra riserva turistica”. Senza coordinamento e un progetto, però – mette in guardia Mazzoni – oltre alla perdita economica c’è un evidente danno ambientale a seguito degli svasi. In tutta Italia il luccio è in via di rarefazione, si cerca di tutelarlo. Noi lo abbiamo, si riproduce autonomamente in maniera esponenziale e ci invidiano. E’ dimostrato che si può salvare la popolazione in buona parte. Però è necessario che nel processo siano coinvolti, oltre al Consorzio di bonifica, la Provincia e la Regione, anche ittiologi e chiunque abbia conoscenza in questo settore”.
Sulle accuse, in passato, non mancò la presa di posizione del Consorzio di bonifica: “Legambiente specula su situazioni falsate” disse il presidente Fausto Zermani. “Abbiamo sempre prestato attenzione alla salvaguardia della flora e della fauna, tant’è che in occasione di ogni svaso collaboriamo con le associazioni di pescatori per preservare il maggior numero di animali possibile. Non è vero che sono morti più pesci rispetto agli svasi del passato, addirittura questa volta abbiamo messo a disposizione un maggior numero di mezzi per garantire la buona riuscita delle operazioni. Ho verificato di persona i risultati di questi svasi e posso dire che le operazioni si sono svolte secondo consuetudine”. Una ricostruzione che, però, sembra essere stata smentita dagli stessi volontari presenti durante le fasi di recupero che, infatti, raccontarono: “Ho assistito ad uno scenario davvero impressionante: quintali e quintali di carpe, cavedani, lucci (anche di grandi dimensioni) e tanti ciprinidi minori trascinati a valle dal fiume di acqua limacciosa divenuta con il passare dei minuti sempre più densa fino a rendere vano qualsiasi tentativo di recupero” ha scritto Francesco Guardabassi, nel suo report per il sito dell’associazione Mosca club Piacenza. E aveva aggiunto: “Sul campo erano presenti tre camion della Provincia dotati di vasche munite di ossigenatore ed un mezzo di un allevatore della Bassa Veronese a cui sono stati affidati 250 esmplari (per un totale di 2 quintali) di luccio a scopo riproduttivo. Il lavoro è stato ben organizzato ed alla fine si è concretizzato nel recupero di 15 quintali di pesce smistati successivamente nel lago di Stra; nel lago Giarola ed in Po. Rimane l’ovvia ed amara evidenza che se avessimo avuto a disposizione più camion e più operatori, avremmo potuto fare di più”.