Guerra e Piace: lo strappo tra i Gatti e i tifosi si può ricucire

Non puoi capire il mondo ultras se non hai mai bevuto birra calda in un angolo della curva. Puoi leggere, ti puoi informare, puoi sentire che cosa si dice in giro, ma solo un ultras sa che cosa passa per la testa di un ultras.

Radio Sound

Non sappiamo se il vicepresidente del Piacenza, Guido Molinaroli, abbia mai bevuto birra calda in curva, ma ieri, nell’intervista rilasciata a Piacenza24, ha detto ciò che ogni ultras vorrebbe sentirsi dire: “Abbiamo a che fare con un gruppo di tifosi ‘rumorosi’, questo è certo, ma è proprio la rumorosità e la presenza che li rende speciali e rende speciale la nostra squadra, che altrimenti sarebbe una delle tante. Gli ultras sono il valore aggiunto del Piacenza”. Perché questo, in fondo, è l’ultras: il valore aggiunto (e insiema la variabile impazzita) di ogni squadra. L’ultras la sostiene e perciò la può contestare, com’è accaduto domenica dopo la gara col Caravaggio. Certo, entrare negli spogliatoi e uscire col cesto delle maglie da gioco è un’azione piuttosto forte, ma non sono arrivate comunque squalifche o multe, come si era ipotizzato subito dopo i fatti di domenica. Lo spogliatoio è un santuario e come tale dev’essere rispettato, ma questo lo sanno benissimo anche i tifosi del Piacenza. Ciò che li ha spinti fino a lì, probabilmente, è stato il valore che gli ultras danno allo stemma e alla maglia biancorossa. E’ il loro motto principale: “Esiste solo la maglia“. Significa che dirigenti, giocatori e allenatori passano, ma quel simbolo resta, così come i tifosi. E’ la stessa identica tesi che sostiene Marco Gatti, il presidente che, insieme col fratello Stefano, ha annunciato di voler lasciare il Piacenza a giugno in seguito ai fatti avvenuti nel postpartita di domenica.

Le dichiarazioni dei fratelli Gatti hanno fatto rumore. Su Facebook le discussioni si sprecano e al bancone dei bar gli appassionati hanno come sempre la propria opinione. I fratelli Gatti hanno davvero intenzione di mollare il Piacenza oppure è stato uno sfogo dettato dalla delusione e dalla rabbia del momento? Lo possono sapere solo loro. In questo momento ci sono soltanto due certezze. La prima è che Marco e Stefano Gatti hanno messo i tifosi del Piacenza al centro del loro progetto e, se decideranno di proseguire, non sarà un episodio isolato, seppur concitato, a far cambiare loro idea sulll’enorme importanza della tifoseria biancorossa. La seconda sono proprio i tifosi, che hanno già dimostrato di seguire la squadra anche dopo un fallimento societario, ripartendo dall’Eccellenza e sbronzandosi nei peggiori bar del Veneto e della Lombardia, rimpiendo le tribune di campi e stadi più o meno sconosciuti.

Tutto si può dire sulla gestione societaria dei Gatti, ognuno anche qui ha la sua opionione, ma occore tenere ben presente l’investimento fatto da Marco e Stefano e l’attaccamento che hanno dimostrato ai colori biancorossi. Allo stadio i fratelli Gatti si comportano da tifosi: urlano, sbraitano, esultano, si disperano, s’incazzano e sono i primi a soffrire se le cose non vanno per il verso giusto. Per questo è facile ipotizzare che abbiano compreso perfettamente i motivi della contestazione di domenica (episodio degli spogliatoi a parte). La sensazione è che lo strappo tra società e tifoseria si possa ricucire nel segno della maglia, quel simbolo indissolubile che li ha sempre uniti. Se gli attuali proprietari decideranno o meno di andare avanti e di completare il progetto di riportare il Piacenza tra i professionisti, però, lo sapremo solo quando i Gatti romperanno il silenzio.

Beviamo birra calda e aspettiamo.