Sinfonia n.9 in re minore op.125 di Ludwig van Beethoven

Appuntamento imperdibile venerdì 17 gennaio alle 21 al Teatro  Municipale con la Stagione  Concertistica 2013-2014 della Fondazione Teatri di Piacenza. Dopo molti anni verrà, infatti, eseguita la Sinfonia n.9 in re minore op.125 di Ludwig van Beethoven, con la Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Kazushi Ono e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati. Solisti Annalena Perssons, soprano, Katharine Goeldner, contralto, Willem van der Heyden, tenore e Ashley Holland, baritono.

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Un concerto imperdibile poiché si ascolterà uno dei capolavori più straordinari della storia della musica composto da Beethoven negli anni in cui era già completamente sordo. Con la Nona sinfonia il compositore tedesco vuole invitare alla fratellanza universale, attraverso il testo del poeta tedesco a lui contemporaneo, Friedrich von Schiller: L'Inno alla gioia – An die Freude, adottato dal Consiglio d'Europa nel 1972 e utilizzato come inno dall'Unione Europea dal 1986. Secondo le parole del musicologo Walter Riezler (1936): “Mai una singola opera di un grande musicista ha suscitato tanta emozione nel mondo quanto la Nona Sinfonia: non soltanto tra i contemporanei, ma anche tra i posteri dopo ben più di un secolo. Come i contemporanei oscillavano fra ammirazione estatica e rifiuto critico misto a timore, così neppure oggi il mondo è unanime nell'impressione e nel giudizio”.

Ricordiamone l’esecuzione alla porta di Brandeburgo diretta da Leonard Bernstein nel 1989, per celebrare la caduta del muro di Berlino con un’orchestra enorme, formata da musicisti delle due Germanie e di tanti altri paesi del mondo. In questo tipo di operazione si pongono questioni che riguardano le ideologie di Friedrich Schiller e di Beethoven. Ritorna ogni volta, ad esempio, la questione dell’appartenenza o meno del poeta e del musicista alla Massoneria, visto che il testo evoca una Divinità priva di connotati confessionali.

Non si pensa mai abbastanza che la mai dimostrata appartenenza di entrambi a una qualsiasi loggia non significa nulla: gli ideali massonici di fratellanza e di armonia tra gli uomini, e tra gli uomini e la natura, erano diventati patrimonio comune negli anni dell’Illuminismo e della Rivoluzione, soprattutto per chi, come Schiller, aveva fatto del suo teatro un altare per gli eroi della libertà come Guglielmo Tell; e per chi, come Beethoven, aveva creduto nella Rivoluzione e in Napoleone ‘primo Console’ come esportatore di Liberté, Égalité Fraternité, al punto da trarne ispirazione per una Sinfonia inaudita, l’Eroica. C’è semmai da notare che per Beethoven l’adesione alle tre parole d’ordine della rivoluzione sopravvisse ai misfatti perpetrati in loro nome da Napoleone e persino alla restaurazione del vecchio ordine nobiliare e, a Vienna, clericale.

Il 7 maggio 1824 il pubblico entusiasta che affollò il teatro di Porta Carinzia ricevette quindi un messaggio esaltante, che dovette apparire, però, non poco anacronistico, vista la stagione codina e illiberale in cui tutti si ritrovavano immersi. Ma per chi era abbastanza vecchio per aver vissuto – trent’anni prima – la stagione delle illusioni, apparve chiaro che il credo di Beethoven, a cui la sua musica aveva tanto profondamente attinto, era di tale convinzione e autenticità da sopravvivere alle deformazioni che gli avvenimenti politici apportano, inesorabilmente, alle idee. Tutto si può dire, quindi, dell’Inno alla Gioia, tranne che avesse o potesse avere un significato celebrativo; cioè che potesse celebrare un raggiungimento, una vittoria, un risultato. Il vero significato va cercato piuttosto nell’ambito dell’utopia, delle visioni che troppo difficilmente riescono a incarnarsi nella storia degli uomini o anche soltanto nella vita di chi le ha concepite.

Ma al di là dell'uso celebrativo e ufficiale della Nona , è nella sua creazione musicale, così come faticosamente costruita in sette anni di lavoro, che risiede l’unica dimensione dove trovarne i significati e i valori. Prezioso è l’aiuto che ci viene dalla testimonianza di Richard Wagner, che, secondo direttore alla corte reale di Dresda, attuò nel 1846 il progetto di eseguire degnamente la Nona: molto più degnamente – bisogna dirlo! – di come poteva aver fatto un Beethoven totalmente sordo sia nella prima esecuzione di Vienna del 7 maggio 1824, sia nella seconda del 23 maggio. La ‘lezione’ di Wagner va ricordata sotto un duplice aspetto: quello dell’accurata preparazione dell’orchestra, del coro e dei solisti con un numero enorme di prove e quello dello sforzo di comprensione di quell’immane partitura ch’egli affidò a un ampio saggio da distribuire al pubblico. Per quanto riguarda l’accuratezza dell’esecuzione, va aggiunto che dalla verifica acustica il direttore d’orchestra Wagner trasse la convinzione che occorresse intervenire per riequilibrare il rapporto tra i legni e gli archi, a vantaggio dei primi: il che lo portò ad alcune modifiche in partitura e a ideare un’innovativa disposizione dell’orchestra e del coro. Per quanto riguarda l’esegesi, colpisce che egli presenti l’immane edificio sonoro come un ‘percorso’: dal dubbio e dal tormento soggettivo fino all’abbraccio universale, generatore di Gioia.

Era questa la via giusta per rendere onore al capolavoro beethoveniano. Da un lato l’Inno alla Gioia era il punto di arrivo di una faticosa ricerca, e comportava, dentro se stesso, luci e ombre, con un succedersi di episodi contrastanti che, in epoca recente, hanno permesso persino di ipotizzare che il finale della Nona abbia l’articolazione di una completa Sinfonia. D’altro lato veniva affermato il valore sublime e contraddittorio dei tre movimenti precedenti, la cui ‘soluzione’ veniva trovata solo nell’enorme movimento conclusivo.

Solo nella sua interezza la Nona acquista i connotati del capolavoro, uscito come opera compiuta da un travaglio immane.

Ebbene, proprio rendendosi conto di quale vasta area creativa sia coinvolta nell’ideazione della Nona, se ne può profondamente apprezzare il risultato finale: una solidità costruttiva, in cui nulla è irrisolto e tutto è trasfigurato in una concezione metafisica della musica, dove orchestra, coro e solisti (e pubblico) devono potersi affacciare all’orlo dell’impossibile. Siamo noi, insomma, che dobbiamo misurare la nostra capacità di arrivare fin lì.

Per info e biglietti è possibile rivolgersi alla biglietteria del Teatro Municipale di Piacenza, in via Verdi 41, al numero di telefono 0523.492251 o al fax 0523.320365 o all'indirizzo mail biglietteria@teatripiacenza.it.