«Gli italiani non vogliono abolire le province ma dimezzare i parlamentari»

Il riordino delle Province, questione che ha tenuto banco nel dibattito pubblico degli scorsi mesi e di recente passata un po' in secondo piano, torna a far parlare di sè. In proposito, in chiusura di questo 2013, si esprime il presidente Massimo Trespidi commentando i dati emersi da un recente sondaggio a livello nazionale proprio sull'abolizione degli enti provinciali. Un sondaggio commissionato dall'Upi all'istituto Ispo di Renato Mannheimer e presentato ufficialmente ieri da Antonio Saitta, presidente nazionale dell'Unione delle Province italiane. I risultati sono per molti sorprendenti ma «non per me», sottolinea Trespidi nel corso di una conferenza stampa ufficiale nella sua doppia veste di presidente della Provincia di Piacenza e di presidente del comitato regionale dell'Upi dell'Emilia Romagna. 

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Dati che, di fatto, ribaltano il concetto da molti portato avanti in questi mesi e cioè che secondo la maggior parte degli italiani vorrebbe vedere abolite le province. In realtà secondo il sondaggio curato da uno dei maggiori istituti italiani, il 72% dei cittadini si sente orgoglioso della propria provincia e solo il 4% vorrebbe abolirla. E «questo la dice lunga su una certa demagogia populistica alimentata in particolare dal Corriere della Sera che però non è riuscito a cambiare il sentimento degli italiani». E ancora: l'81% degli italiani ritiene che la riforma più urgente sia tagliare l'indennità dei parlamentari; 7 italiani su 10 parlano di necessaria riduzione dei consiglieri regionali; 6 su 10 sono per la riduzione degli stipendi dei manager delle aziende statali o partecipate; 5 italiani su 10 infine ritengono che vadano tagliati i costi e il numero degli organismi intermedi come consorzi eccetera. 

La riforma delle Province è ritenuta prioritaria dal 16% di coloro che, nell'ambito del campione intervistato, si sono dichiarati elettori del Pd, dal 15% degli elettori del Pdl e dal 17% degli elettori del Movimento 5 Stelle. 

«Un sondaggio – ribadisce Trespidi – che conferma quello che noi diciamo da due anni, da quando il Governo Monti ha pensato di dare in pasto all'opinione pubblica l'abolizione delle Province come panacea di tutti i mali legati alla spesa pubblica italiana. Questa ricerca dimostra che contrariamente a quanto si continua a dire non sono affatto i cittadini a volere l'abolizione degli enti provinciali, ma l'accanimento contro le province è solo la risposta di una politica debole che, non volendo ascoltare le richieste reali del Paese, cerca di auto-assolversi perché non è in grado di autoriformarsi». E ancora: «Per inseguire slogan, non condivisi dai cittadini, in questi anni sono state tagliate risorse destinate a servizi essenziali. Quando le scuole resteranno chiuse e le strade non saranno più curate è evidente che i cittadini se la prenderanno con coloro che si sono resi responsabili di questo caos e cioè con il Parlamento se farà passare questo disegno di legge. Allora sarà finalmente chiara la totale mancanza di visione del futuro quale è quella di chi propone una riforma sbagliata che addirittura 44 illustri costituzionalisti hanno rilevato come incostituzionale». Il disegno di legge in questione è quello firmato dal ministro Graziano Delrio; un disegno di legge che la Corte dei Conti e la ragioneria dello Stato – sottolinea ancora Trespidi – hanno bollato come riforma che non fa risparmiare un euro ma che al contrario farà aumentare i costi per la collettività. 

La domanda che a questo punto si pone Trespidi è la seguente: perché ci si ostina a voler abolire le Province? «Questo sondaggio una volta per tutte spiega cosa ne pensa la gente – dice – e la politica sta andando in direzione opposta rispetto al sentimento del popolo. Perché lo si fa? Si pensa che possa bastare l'abolizione delle province per fermare questo sentimento di antipolitica presente in Italia, si chiede il presidente dalla sala Giunta dell'ente di via Garibaldi? «E' una visione miope del presente e dell'immediato futuro – afferma – Questo provvedimento creerà un caos istituzionale pericolosissimo. Siamo in presenza di una classe politica inadeguata che non sapendosi autoriformare pensa di riacquistare la verginità, naturalmente politica, abolendo o riformando altri ma non mettendo mai in discussione sé stessa». 

Un sondaggio, prosegue Trespidi, che evidenzia in modo spietato che «non ci sono più alibi»: gli italiani non chiedono l'abolizione delle province, dice, ma chiedono altro. «Questo sondaggio per non è una sorpresa – prosegue il presidente – ma qualche "maestro di pensiero" dovrà fare un bel bagno di realtà». 

In tema di riduzione di numero di parlamentari, di cui si parla da anni senza effetti, Trespidi teme che anche su questa partita ci saranno ulteriori inganni. «Chi vuole fare la legge elettorale nuova senza iscriverla all'interno di una riforma costituzionale completa secondo voi poi farà la riduzione dei parlamentari?». Domanda retorica, ovviamente; la sua risposta è no e, secondo il presidente piacentino, è evidente non fosse altro che per i tempi. Devono essere necessariamente più lunghi. 

Morale, secondo Massimo Trespidi finirà che ci terremo tutto quello che c'è adesso con l'unica novità, se questo Governo si intestardisce, che verranno abolite le province. Ci terremo due rami del parlamento che fanno le stesse cose, ci terremo mille parlamentari, più che negli Usa, eccetera. 

Trespidi prosegue rincarando la dose e chiamando in causa direttamente il ministro Graziano Delrio. «Io credo – dice – che il ministro Delrio stia portando avanti questo disegno solo per passare alla storia come quello che ha abolito le province, come tutti gli uomini piccoli che vogliono intestarsi qualcosa. Un ministro che da 44 costituzionalisti si sente dire che il suo disegno di legge è incostituzionale, un ministro che si sente dire che il suo disegno non fa risparmiare nulla, non può proseguire». Cosa dovrebbe fare, invece, Trespidi lo dice senza mezzi termini: «Dovrebbe intanto ammettere di aver sbagliato e rientrare dalle sue decisioni e la seconda cosa che dovrebbe fare è dimettersi». 

In questo Paese bisogna decidere se fare una riforma costituzionale seria oppure no, secondo il presidente. La riforma deve partire dal vertice e poi scendere. Bisogna capire che tipo di Governo vogliamo avere, poi si deve fare una legge elettorale seria; «c'è da dire che l'attuale numero di regioni è assurdo – dice – sono troppe. Si deve andare verso un accorpamento delle regioni prevedendone meno e con una maggiore estensione territoriale il che ci renderebbe più competitivi con la Francia e la Germania. In questo contesto le province mantengono un ruolo di coordinamento tra l'ente regionale più ampio e i comuni, ridotti di numero unificando quelli piccolissimi e inutili. Ridurre il numero delle province, d'accordo, però tornando indietro rispetto alla formazione di certe province costituite negli ultimi quindici anni «per accontentare qualche amministratore». Bisogna pensare al futuro pensando al contempo a un presente operativo, sottolinea, e cita la sua amministrazione: «Abbiamo continuato a portare avanti politiche di riduzione della spesa e degli sprechi. Solo la decisione di portare gli uffici da Borgo Faxhal a via Mazzini ci ha fatto risparmiare tre milioni e mezzo». 

In questo contesto si è parlato anche della “perdita” di due assessori, l'ultimo dei quali è Andrea Paparo, con deleghe importanti come quella al Lavoro. Deleghe che tuttavia non verranno riassegnate, conferma il presidente, ma distribuite tra gli attuali assessori.

Facendo il punto della situazione attuale, il disegno di legge Delrio è fermo alla Camera. Non si prevede di approvarlo prima di Natale. Poi deve passare al Senato, senz'altro dopo l'Epifania. Se ci saranno modifiche, tornerà alla Camera. Morale, fino alla metà di gennaio, nella migliore delle ipotesi, non sapremo nulla. Prima di saperlo, dice Trespidi, non si possono fare previsioni precise su cosa accadrà dopo il 30 giugno 2014, giorno di scadenza del suo mandato e della sua giunta. Tutto quello che verrà dopo, il presidente l'ha riassunto in due parole: «Caos istituzionale.