Siamo seduti su una miniera d’oro. “Anche in piedi” scherza Vittorio Sgarbi, arrivato al Conservatorio Nicolini di Piacenza per presentare il suo ultimo libro: “Il tesoro d’Italia”. Un volume in cui viene tracciata una mappa dell’inestimabile patrimonio artistico presente sul nostro territorio nazionale. Una ricchezza incredibile, di cui però non tutti sono ancora a conoscenza. Al di là delle attrazioni turistiche, vi sono capolavori inestimabili diffusi in modo capillare su tutto il territorio. A questi rivolge il suo sguardo il noto critico ed ex ministro, per “descrivere la realtà di un patrimonio che è denso e ricco e il cui valore patrimoniale spesso è ignorato” ha spiegato ai microfoni di Radio Sound.
Ed è proprio la non conoscenza, per Sgarbi, che ha provocato nel tempo “incuria da parte degli amministratori, con politiche sbagliate o distruttive e incapacità di garanzia. Per questo il concetto del tesoro è voluto, per indicare la preziosità del nostro patrimonio artistico”.
Come quello piacentino che, pur non essendo presente in questo volume con opere di rilievo, presenta aspetti di assoluta importanza: “Piacenza è un tema nel tempo del libro. Nell’Arte medievale e moderna e nel Romanico, Piacenza ha dato espressioni significative. Se il processo della ricostruzione storica procede per aree geografiche, Piacenza non è ancora stata toccata ma nel Rinascimento, con la pala di Raffaello o le opere di Pordenone, potrà avere una sua centralità – ha voluto sottolineare Sgarbi -. In qualunque momento della storia ogni area geografica ha delle peculiarità, ma il libro indica le opere più importanti. Non è un libro di viaggio con esperienze di ritrovamenti ma di messa in evidenza dei grandi monumenti da Modena a Parma, passando per Fidenza per arrivare a Ferrara”.
Un volume agile, di facile fruizione, che “ha uno spirito non per le scuole ma per il dopo scuola – tiene a precisare -. Chi non ha mai visto queste grandi opere sarà accompagnato in maniera non accademica e non pedante ma cercando di far capire la verità che nascondono questi capolavori ovunque diffusi. Cercando di elevarli ai grandi poeti come Dante, Petrarca e Boccaccio. L’identificazione culturale è un valore spirituale oltre che materiale”.
Ma se l’ignoranza ha provocato disinteresse e incuria, per Vittorio Sgarbi, i primi bersagli delle sue invettive sono gli amministratori. Quelli locali, come il sindaco di Piacenza, Paolo Dosi, per il quale non ha lesinato critiche pur non avendolo mai incontrato: “Non lo conosco ma l’impressione attuale è quella di un’amministrazione dormiente” ha detto poco prima dell’incontro al Conservatorio. Mentre sugli ultimi ministri dei Beni Culturali e Artistici ha espresso giudizi diversi e, per alcuni, molto più critici: “Lorenzo Ornaghi? Un deficiente, che all’università non so cosa possa fare perché al ministero ha fatto pena. Sandro Bondi ci ha messo buona volontà e ha tentato di fare qualcosa ma un pò per la provenienza dal centro destra, il suo rapporto con Berlusconi e l’atteggiamento fisico era facilmente caricaturabile. Gli hanno attribuito i crolli di Pompei, con polemiche infinite, che non sono stati attribuiti poi a Ornaghi o Bray. Era una campagna contro di lui che sopravvalutava aspetti che non lo riguardavano. Difficile giudicarlo perché messo in difficoltà ma aveva qualche buono spunto”.
Ben più benevolo il giudizio su Massimo Bray: “E’ un ministro che definirei retrattile, che non si mette in prima fila però è molto attento ai problemi della tutela nonostante le mille difficoltà. Ascolta e può essere efficace. Come quando l’ho fatto intervenire perché non avvenissero cose inqualificabili. Come a La Spezia,dove ha bloccato l’intervento distruttivo per piazza Verdi. Ho misurato la sua capacità di reazione davanti all’evidenza degli errori. Il giudizio su di lui è positivo ed è legato alla consapevolezza, non ancora espressa in atti definitivi ma comunque un buon segnale.
Infine, nell’intervista che ha concesso a Radio Sound, Vittorio Sgarbi ha per ora escluso un suo personale ritorno in politica: “E’ così lontana dalle persone che è meglio non avvicinarla per non esserne appestati. Si vive meglio avendo rispetto o dispetto per quello che fai e non perché fai politica. Se non si riesce a far nascere qualcosa che abbia, come Renzi, un collegamento con necessità reali, fare politica non è utile e anzi dannoso. Siamo in un contesto in cui gli errori del passato hanno inquinato il campo rendendolo impraticabile. Si gioca una partita in un campo pieno di fango”.