Zanardi: “Se tutti potessero volare, anche Bolt si sentirebbe un disabile”

 “Se tutti potessero volare, forse anche Bolt si sentirebbe disabile a poter solo correre”. Non ha perso l’ironia e la voglia di vivere, Alex Zanardi, campione dello sport e nella vita, dopo l’incidente automobilistico che gli costò l’amputazione di entrambe le gambe. E lo ha dimostrato ancora una volta durante l’incontro nel pomeriggio all’università Cattolica a Piacenza, nell’ambito del ciclo A tutto campus.
Davanti a un pubblico da rockstar, circa un migliaio di giovani studenti accorsi ad ascoltarlo, il 47enne bolognese – dopo il lungo applauso che gli è stato tributato – ha esordito con un’altro pensiero “alla Zanardi”: “Vorrei avere le gambe, in questo momento, per potervi fare un inchino di ringraziamento”. Ma le gambe, Alex, le ha eccome. E infatti, visto che l’applauso si è protratto lungamente, alla fine decide di alzarsi sulle protesi per omaggiare la platea con una simpatica riverenza. 

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Arrivato a Piacenza per spiegare la sua esperienza traumatica ma soprattutto come ha fatto a superarla, tornando ad una vita non solo normale, ma da campione nello sport, ha ancora una volta stupito tutti per la sua “normalità” nell’affrontare il tema della disablità: “Mai avrei immaginato di vivere una esperienza del genere, però esistono molte soluzioni quando questa condizione viene accettata. Perché la maggior parte della gente si ferma proprio in questo momento, tende a bloccarsi. La disabilità è una barriera ma di carattere psicologico, ci si immagina di dover affrontare la vita in modo impossibile. Se accetti e invece ti chiedi: come posso fare? le alternative esistono. Io lo posso testimoniare – ha detto senza ripensamenti -. La vita che conduco ora non ha niente in meno di quella di un tempo. Il messaggio è che è necessario raccontare che un modo può essere trovato e lo possono fare tutti. Certo – ha ammesso – le difficoltà sono tali se no avrebbero un altro nome. Però la disabilità è relativa, faccio le cose di tutti i giorni in modo diverso ma un modo può essere trovato”. E ha poi scherzato: “Se tutti gli uomini potessero volare, forse anche Bolt si sentirebbe un disabile potendo solo correre più veloce degli altri”. 
Naturalmente la società, spesso, non aiuta, con le barriere architettoniche che tendono ad aumentare i diagi per i portatori di una disabilità. Anche in questo caso, Zanardi non ha dubbi: “E’ necessario parlarne, molto spesso il limite è l’ignoranza”. E ha fatto un esempio: “Se un architetto che costruisce un palazzo nuovo e nell’entrata mette una scalinata bellissima che però non tiene conto, non solo dei disabili ma anche della donna con il passeggino o del facchino che deve scaricare i pacchi, è lì che sta il problema. Nel non sapere i problemi di tutti, che ci porta a considerare le cose in modo diverso, cioè che la società si doti di quelle risorse che favoriscono la vita di ognuno di noi”. 

Ad Alex Zanardi, che nel 2016 compirà 50 anni ma ha già in cantiere per quella data la partecipazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, sembrano non venire mai meno la serenità e il sorriso e il respiro pieno di un uomo che con le gambe totalmente amputate reagisce davanti a un microfono dichiarando, con spietata e avvertita risolutezza: “La vita mi ha dato moltissimo”.

LA SUA CARRIERA: Sulle quattro ruote, dopo gli inizi giovanili sui kart, gli eccellenti risultati nella Formula 3000 ed alterne prestazioni nella Formula 1 – in varie riprese, a partire dal 1991, su vetture Jordan, Minardi, Lotus, Benetton – il pilota bolognese aveva tratto le maggiori soddisfazioni nella Champ Car-Cart, il più importante e impegnativo campionato con monoposto a ruote scoperte disputato negli Stati Uniti. Il passaggio sugli infernali circuiti americani vide Zanardi subito tra i protagonisti. Segnalato nel 1996 come miglior esordiente, l'anno successivo, insieme con la conquista del titolo – unico italiano in un albo ricco di campioni celebrati, da Mario Andretti a Emerson Fittipaldi, da Nigel Mansell a Jacques Villeneuve – la consacrazione definitiva, legittimata nel 1998 da una seconda affermazione avvenuta con disarmante superiorità. Un momentaneo rientro in Formula 1 con la Williams e subito dopo, al passaggio del secolo, la ripresa nella Champ Car. Fino all'incidente. 

Dodici anni sono trascorsi da quel drammatico pomeriggio del 15 settembre 2001 e dal circuito tedesco di Lausitz – testimone, sei mesi prima, della morte di Michele Alboreto – l'impatto della sua Reynard-Honda fuori controllo all'uscita dai box con la vettura dell'italo-canadese Alex Tagliani lanciata a trecento all'ora. L'angoscia dell'emergenza, il volo all'ospedale di Berlino, l'avvertimento di una condanna irreversibile, le depressioni iniziali successive al trauma, l'inazione forzata, tre stagioni di fermo totale, il tarlo dell'insicurezza e la ripresa dell'attività motoristica con i comandi dei pedali applicati al volante, culminata nel 2005 con l'affermazione nel campionato italiano Superturismo.
Nel 2007, con l'esordio a New York, quarto classificato, l'impatto con il gesto agonistico totalmente differente che nel 2010 lo porterà su una handbike a trionfare, prima di tre edizioni vincenti, nella maratona di Roma, nel 2011 a New York, e l'anno successivo, sulla strada di Brands Hatch, a salire ai vertici delle Paralimpiadi londinesi con la doppia medaglia d'oro nella gara a cronometro e in quella in linea, tenendo infine alta la bandiera alla testa degli azzurri nella cerimonia di chiusura dei Giochi.
Per il suo futuro agonistico, avendo al fianco la moglie Daniela e il figlio Niccolò, l'olimpionico Alex Zanardi ha idee chiare. Almeno per tre anni. Il 2016 sarà stagione del raggiungimento del mezzo secolo di vita, in coincidenza con la scadenza olimpica di Rio de Janeiro. Dove l'uomo e l'atleta andranno, “non certo per incrementare il turismo” ha tenuto a precisare”.