Dopo Lampedusa nulla può rimanere come prima. E' il titolo dell'incontro che si sta tenendo oggi pomeriggio nel salone Nelson Mandela della Camera del lavoro piacentina. Un titolo che dà già un'idea più che esaustiva dell'impostazione del convegno che ha portato in città rappresentanti nazionali del sindacato e non solo, persone che da anni si occupano in prima linea di immigrati per motivi di lavoro e rifugiati politici. «Due categorie ben distinte, peraltro, e che non andrebbero confuse come invece accade sempre più spesso in questo Paese» sottolinea Filippo Miraglia, responsabile per l'immigrazione dell'Arci nazionale, relatore insieme con Jean Renè Bilongo della Flai-Cgil nazionale, anch'egli con delega specifica all'immigrazione.
Miraglia non ci va certo per il sottile nell'affrontare il tema Lampedusa e parla senza mezzi termini di «lacrime di coccodrillo» con riferimento ai funerali di Stato dopo la strage dello scorso 3 ottobre: «Si fa presto a piangere quando accadono fatti del genere – dice – salvo poi dimenticarsene il giorno dopo e, anzi, adottare politiche che di fatto generano situazioni come quella di Lampedusa». E punta il dito direttamente contro Roberto Maroni, fino al 2011 ministro leghista dell'Iterno che, a parere di Miraglia, ha fatto sì che migliaia di persone rimanessero al freddo, all'aperto, senza l'assistenza adeguata. «L'Italia si deve attrezzare, non si può vivere alla giornata di fronte a un'emergenza di questa portata».
E a rincarare la dose ci pensa Bilongo, responsabile nazionale di una categoria sindacale (la Flai-Cgil, per l'appunto) che al suo interno conta migliaia di lavoratori della pesca. «Sono proprio i pescatori i primi che spesso si trovano a incrociare destini nelle acque territoriali italiane tra la Sicilia e la Tunisia – spiega – e proprio loro troppo spesso voltano lo sguardo dall'altra parte. Ma non certo per cattiveria: lo fanno per evitare guai, sequestri, indagini, processi; il tutto a scapito dell'unico reddito che hanno, magari per mantenere un'intera famiglia». Bilongo poi mette l'accento su un aspetto ancora più toccante: la gran parte dei pescatori sono stranieri e in Sicilia la gran parte degli stranieri sono tunisini, ormai presenti da tre generazioni. L'aberrazione, secondo il responsabile Flai, è che a lasciar morire gli immigrati in mare sono altri immigrati, magari loro connazionali. «Vanno cambiate le leggi – dice – deve diventare reato il non soccorso, il non intervento, e non viceversa. Va cambiato l'atteggiamento».
«Era importante non dimenticare e dimostrare il nostro impegno e la nostra attenzione al di là della commozione dei primi giorni» afferma invece Paolo Lanna, segretario generale della Camera del lavoro piacentina, sentito a margine del convegno, a commento prima di tutto dell'evento stesso, della sua importanza per Piacenza e per la Cgil piacentina. «I relatori ci raccontano di uno Stato che sa solo far vedere il suo volto cattivo in vicende del genere – prosegue – Non può più accadere. L'italia deve essere in grado con autorevolezza di dare una risposta adeguata a queste persone, agli immigrati che attraversano il mare per necessità e hanno il diritto, un diritto internazionale peraltro, di avere asilo. E deve essere in grado, l'Italia, di governare questi fenomeni. Il sindacato è per definizione al fianco delle persone più deboli e quindi rivendica che si facciano scelte politiche adeguate».