Fino al 21 da Biffi Arte, in Piazza S. Antonino, angolo Via Chiapponi, prosegue l’esposizione di Marco Brusati “Scrivimi, un invito ad entrare”.
C’è il libro. Con la sua natura simbolica che collega l’esperienza concreta dell’oggetto fisico e visibile con quella dello spazio mentale, metafisico. Marco Brusati ha scelto il libro come oggetto per raccontare attraverso la fotografia una storia invisibile che interroga il fruitore delle immagini.
Lo fa con un taglio molto particolare: ravvicinato, le pagine aperte liberate al vento, il fondo indistinto sul quale si staglia, solo, il libro. E poi il dettaglio dello spessore dei fogli, qualche lettera che respira in un attimo fissato dalla fotografia prima che la pagina precedente o successiva vi si riposi sopra, e ancora la costa del volume inarcata sul piano come una schiena nuda. Sono immagini silenti ma in movimento, fotografie che reclamano un tempo lungo di partecipazione da parte dell’osservatore. Un tempo meditato che però è anche del fotografo, perché Brusati attende l’oggetto, quando lo incontra lo indaga, l’obiettivo a scoprirne solo una parte minima, una forma che richiede di essere pensata. Nel farlo predilige la serie di immagini, quindi la relazione che nasce spontanea tra gli scatti piuttosto che l’unicum da porre sul piedistallo per essere osservato, così facendo non viene svilito il dato estetico e lo spettatore è spinto a indagare più in profondità ciò che ha di fronte.
Che siano libri o no, è il metodo che conta. Le tracce di questo modo di pensare fotografico le ritroviamo anche negli scatti dei palloncini neri su fondo nero e in quelli degli spilli che si accumulano esili come folla in una piazza, esile follia che pervade i minuscoli rapporti di donne e uomini Filiformi. Qui c’è tutto l’amore per l’oggetto familiare, lo spillo, visto per anni nelle mani della nonna sarta. Per una storia che, se vogliamo, è un po’ malinconica e che torna nelle fotogra!e di lettere del Settecento spedite a una nobildonna umbra e custodite nella cartella di pelle chiara, annodata dal nastro rosso fermato dal sigillo di ceralacca oppure leggermente aperta, come fosse un invito ad entrare. Ancora i fogli dagli angoli piegati, sui quali è fissa e ormai inascoltata la grafia di uomini di secoli fa, calligrafia nera, nitida, piccola, precisa e andata perduta. E’ evidente l’indugiare con l’obiettivo sui segni del tempo che ha corroso la materia, ma non a tal punto da non essere anche garante di una restituzione ai posteri, che siamo noi dell’epoca digitale, e Brusati stesso che con la scrittura fotografica riannoda racconti, custoditi dai libri e dalle lettere, per costruirne uno tutto suo.