Torna sul palco del Municipale, per il secondo appuntamento con la Stagione Concertistica 2013-2014 della Fondazione Teatri di Piacenza, venerdì 15 novembre alle ore 21, la Filarmonica Arturo Toscanini che per l'occasione sarà guidata da Yoel Levi, direttore conosciuto in ambito internazionale per aver diretto molte delle più rinomate orchestre del mondo con un repertorio che spazia dalla musica sinfonica a quella operistica a cui si aggiunge un’ampia discografia. Ospite d'eccezione della serata il violoncello di Natalia Gutman apprezzata musicista russa definita da Svjatoslav Richter “l'incarnazione dell'onestà nell'arte”.
Un concerto, quello di venerdì prossimo, che sia per i “protagonisti” sia per il programma musicale proposto si preannuncia come imperdibile. Saranno infatti eseguiti di Jean Sibelius il poema sinfonico Finlandia e la Sinfonia n.2 in re maggiore op.43 e di Benjamin Britten la Cello Symphony op. 68. Un'occasione quindi per scoprire autori che rappresentano un'intera nazione, anche se la loro opera travalica i limiti dello spazio e del tempo, come Jean Sibelius, ma anche per far luce su uno fra i rapporti artistici ed umani più vivi, quale è stato quello intercorso tra Benjamin Britten e Mstislav Rostropovich. Senza il sodalizio Britten-Rostropovich non avremmo le due Suites per violoncello solo op. 72 e op. 80 ed inoltre la Cello Symphony op. 68.
Il poema sinfonico Finlandia venne composto nel 1899 per un congresso politico a Helsinki. Sibelius era già da un decennio consacrato come autorità assoluta della musica nel suo paese; l’anno seguente, mentre si accingeva a ritoccarne la stesura, la sua notorietà si era diffusa in tutto il mondo. In un momento di forti tensioni politiche, con la Russia che premeva sempre più fortemente sul paese scandinavo, una composizione di circostanza nata come una specie di inno patriottico viene potenziata nei suoi effetti al punto di divenire un emblema dell’intero popolo. Risuonò ovunque, segnando un difficile cammino che culminò nel 1920, quando venne sancita l’indipendenza della nazione finlandese.
Una veste solenne si enuncia fin dalle prime misure, affidate agli ottoni, che fungono da portale per un edificio che si gioca prevalentemente su accenti ottimisti e pervasi di un orgoglio franco e caparbio, ma mai autocommiserativo o furioso. La partitura, forte delle più variopinte possibilità timbriche, ci porta poco a poco in una grande festa a sorpresa, dove si incontrano il tema ingenuo e quello eroico, il lirismo più lineare e il grido più esuberante.
Per le sue fortissime implicazioni patriottiche, questa pagina dovette talvolta cambiare nome per potere essere eseguita. Ma la sua essenza creativa non è unicamente ascrivibile a un semplice esercizio di folclore celebrativo. Se questa devozione – anche perché ampia, composita e sempre capace di aggiornamenti – di Sibelius per la terra si potesse raffigurare con una carta geografica, questa sarebbe una carta fisica, non politica.
La Seconda sinfonia di Sibelius è un lavoro corposo e non convenzionale.
Il suo primo movimento si presenta come un insieme di diversi frammenti. L’autore ebbe a scrivere più tardi: «è come se l’Onnipotente avesse lanciato in terra delle tessere di mosaico dal pavimento del cielo e mi chiedesse di metterle assieme». Si può pensare che il gesto di restituire a un ordine i più svariati episodi tematici abbia potuto quindi costituire per il compositore il personale sforzo di ricercare ancora quell’ordine, la forma sonata, che è la terrena proiezione di un pavimento celeste.
Un rullo di timpani annuncia il secondo movimento: lento, lirico e sospeso. In pochi momenti si avverte la tensione che potrebbe condurre verso uno slancio del discorso, ma ancora una volta prevale all’attenzione uditiva la molteplicità di episodi, a fronte del suo programma espositivo unitario.
Breve e spensierato è lo Scherzo vivacissimo, in cui è incastonato un trio dal carattere più che pastorale. Un ondeggiare fluido e insistente è il sentiero che conduce al movimento conclusivo, Allegro moderato. Con una schietta sincerità, questo movimento risponde a ciascuno dei dubbi che in questo lungo cammino si sono generati all’ascolto per mezzo di motivi e colori già incontrati, ora fruibili nella loro promessa compattezza. Unico elemento a turbare la pace ritrovata è un mesto lamento dei legni: un tema che spesso i commentatori hanno voluto associare al destino della nazione finlandese, ma che – stando a una dichiarazione della moglie del compositore – è verosimilmente il pianto per la tragica perdita di una cara parente.
Gli anni Sessanta del secolo scorso furono caratterizzati nella parabola creativa di Benjamin Britten da un periodo particolarmente fecondo di composizioni indirizzate a Mstislav Rostropovič. Musicista di puro mestiere, virtuoso e pure amatissimo didatta e modello per generazioni di violoncellisti, a questa figura eccezionale della scena musicale del Novecento sono state dedicate innumerevoli pagine da parte dei maggiori compositori. Ma quest’uomo fu per Britten sopra ogni cosa un amico, nella vita come nella musica.
Nel 1963 si presentò l’occasione per affrontare un nuovo lavoro sulla forma sonata, il primo dopo la Sinfonia di Requiem di ventitre anni precedente. Non un concerto: poiché non si fonda sull’elevazione del solista sull’orchestra, né si inoltra nello sfoggio di estrema bravura suonatoria. Non una sinfonia concertante, come appare nell’Aroldo in Italia di Berlioz o nella Symphonie cévenole di Vincent d’Indy: qui il violoncello e l’orchestra sono partners ad armi pari, senza alcun conflitto di superiorità. Il titolo di Symphony for cello and Orchestra dichiara perciò la deliberata adesione a un preciso programma formale poiché quello di Sonata per violoncello e orchestra, certo più calzante, si sarebbe palesato troppo eccentrico rispetto alla tradizione classica, che è qui tutt’altro che rinnegata. Per un’indisposizione di ‘Slava’, la sua prima esecuzione in pubblico si tenne l’anno successivo, durante una tournée russa di Britten.
Articolata in quattro episodi, l’opera esordisce con un Allegro maestoso che contiene uno dei più puri modelli di forma sonata impiegati da Britten; l’armonia proporzionale delle sue sezioni si fonda su un tema destinato ad avvilupparsi in un movimento che immerge l’ascoltatore nel senso intimamente tragico della poetica britteniana.
Il secondo movimento consta di uno scherzo, alquanto sardonico, che si articola sulla ripetizione ossessiva di una breve cellula melodica; la sensazione fisica di macabro gelo è acutizzata dalla prescrizione dell’arco sul ponticello. Il colore notturno procede nel terzo, un adagio di grave ed estatica bellezza, scandito dal rintocco dei timpani. Come nel suo Concerto per violino, l’epilogo è affidato a una Passacaglia, unita all’episodio precedente per mezzo di una cadenza dello strumento solista, a cui è affidato quindi il compito di condurre l’ostinato. A partire da uno squillo della tromba, le timbriche si muovono verso una progressiva brillantezza e diventano sempre più riconoscibili alcuni motivi del primo e secondo movimento: una sublime prova di orchestrazione che per molti raggiunge l’apice di scrittura orchestrale nell’intera opera del barone inglese.