“Non ci sono abbastanza insegnanti di sostegno per i ragazzi disabili nelle scuole piacentine”. E’ la denuncia dell’Uici (Unione Italiana Ciechi) e delle organizzazioni sindacali, che hanno fatto i conti e, nonostante quanto detto dalle istituzioni, sembrano non tornare. Sono circa 880 i ragazzi disabili che frequentano le scuole del territorio e 440 gli insegnanti. Un rapporto di 1 a 2 che, formalmente, rientra nei parametri stabiliti. Solo che, hanno sottolineato i rappresentanti di associazioni e sindacalisti, non si tiene conto dei casi gravissimi che, per legge, richiedono un rapporto di 1 a 1. Così, secondo il ricalcolo, il rapporto tra insegnanti e alunni con disabilità, scenderebbe a 1 a 3.
Per questo è stata espressa “preoccupazione circa la situazione del sostegno scolastico degli alunni disabili nelle scuole di città e provincia, ampiamente insufficiente per sopperire alle necessità” ha spiegato il presidente di Uici, Giovanni Taverna.
“A fronte di un aumento di alunni disabili, registriamo da qualche anno un calo di insegnanti di sostegno nonostante siano stati assegnati in deroga – ha aggiunto Luici galeazzi della Cisl -. Abbiamo visto un aumento del rapporto tra alunni disabili e docenti. I posti calano, le ore di aiuto calano e l’amministrazione dice: non abbiamo tagliato i posti di sostegno. Chiediamo che le istituzioni si mobilitino per risolvere la questione”.
Per giustificare il calcolo è stato portato l'esempio dell'istituto Casali. Qui sono presenti 39 alunni disabili, più 10 con disabilità gravissime e gli insegnanti di sostegno sono 20 (tra i quali alcuni in deroga). Così, mentre 20 insegnanti si devono occupare di 10 ragazzi, altri 10 sono occupati invece con 29 giovani.
E poi c’è il tema dell’ascolto delle associazioni, come ha voluto sottolineare Luigi Novelli dell'Anmic (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili): “Siamo stati snobbati nei tavoli di confronto. Ma l’80% d questi ragazzi sono invalidi civili, eppure non ci fanno sapere più niente. Non siamo stati più convocati. Perché? Poi però i genitori vengono a lamentarsi da noi, ci dicono: ma cosa fate? E noi invece non siamo informati”.