“Non sono contrario in linea generale all’amnistia e all’indulto, ma in questo momento sono solo dei palliativi per mascherare tante lacune di tipo strutturale”. A dirlo è il professor Alberto Gromi, garante dei detenuti di Piacenza, uomo che da anni conosce al meglio la realtà carceraria delle Novate. Per Gromi, prima di parlare di amnistia e indulto, andrebbero risolte altre questioni. “In questo momento il dibattito che si è innescato a livello parlamentare maschera l’incapacità di intervenire in modo effettivo sui problemi del carcere. Amnistia e indulto hanno senso se sono inseriti in un contesto di sistema, in cui si fanno interventi strutturali. Ad esempio: il carcere ha una legge penitenziaria che è applicata forse per il 30%. Non costerebbe nulla applicarla al 100%, si risolverebbero tante questioni. In carcere servono lavoro, scuola e formazione professionale. In questi anni sono stati ridotti drasticamente i finanziamenti per il lavoro in carcere. La scuola è l’ultimo gradino di tutta la struttura scolastica regionale e nazionale. Quando si deve tagliare qualcosa in organico, si taglia sul carcere. La formazione professionale è inesistente. Se non si pensa a tutto questo, amnistia e indulto è polvere begli occhi della gente. Il governo ha la preoccupazione che a maggio l’Italia verrà sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, allora corre a mettere toppe”. Per quanto riguarda il problema del sovraffollamento, “nel carcere di Piacenza è superato. Non ci sono celle con detenuti stipati”. Gromi parla tutte le settimane con i detenuti e rivela che “da quando si parla di amnistia e indulto, continuano a chiedere con insistenza. E’ diventata una ossessione”. “Il governo deve intervenire, l’opinione pubblica deve pretendere un intervento significativo di rieducazione. Oggi nel carcere la sicurezza ha il sopravvento sulla rieducazione che è uno strumento per garantire la sicurezza”.