Una lunga carriera, da giudice e da magistrato, in cui ha istruito casi di primaria importanza nella storia italiana del '900, dall'inchiesta sulla loggia massonica P2 a Mani Pulite, passando per il delitto Ambrosoli. Poi, a quattordici anni dal pensionamento, la decisione di ritirarsi per intraprendere un'altra carriera che lo vede impegnato quotidianamente nelle scuole di tutta Italia per parlare di giustizia, legalità e relazione tra regole e persone.
Dimissioni motivate dalla sensazione che fosse ormai impossbile, nel ruolo di giudice, far funzionare la giustizia “in modo perlomeno accettabile”. Occorreva dunque fare un passo indietro, avviare una profonda riflessione sulla relazione tra i cittadini e le regole, ma anche sull'utilità della giustizia punitiva.
Ed ecco progressivamente maturare l'idea che la detenzione non sia un buon metodo per reintegrare i delinquenti. Nell'incontro dedicato ad Aldo Capitini, filosofo della non-violenza, questa mattina nella Sala dei Teatini, l'ex magistrato ha messo in luce gli strumenti attraverso i quali avviare una transizione dalla giustizia riparativa a quella riparativa: “La mediazione penale è un percorso che può portare a un incontro tra il responsabile e la vittima, in modo che il responsabile si renda conto del male che ha fatto senza venir subissato dai sensi di colpa e e la vittima riesca a liberarsi del torto subito. Senza però venir meno al principio per cui una persona pericolosa non deve essere messo in condizione di svolgere la propria pericolosità e deve dunque essere controllato, non in un'ottica puramente punitiva, bensì in un'ottica di recupero della persona.
Non si sbilancia invece l'ex magistrato sul momento caldo della politica italiana, dopo la sentenza contro Silvio Berlusconi, preferendo adottare una prospettiva più alta. “Il vero problema è che ormai da molto tempo non abbiamo il senso della comunità e siamo complessivamente indietro nel comprendere quanto sia fondamentale capire e applicare la Costituzione per difendere la dignità umana. Pensiamo alle regole secondo categorie feudali, appartenenti a una società gerarchica e piramidale, in cui i diritti erano distribuiti in maniera discriminata – chi sta in alto può, chi sta in basso deve -senza renderci conto di come la Costituzione abbia cambiato il nostro modo di stare assieme”.