«Se avessi saputo che nell'area dell'ex Pertite erano state interrate attrezzature militari nuove di zecca, ancora imballate, che servivano proprio in quel periodo ai nostri soldati che combattevano in Iraq e in Afghanistan, costringendoli dunque a utilizzare materiali più scadenti, oggi io non sarei qui, signor presidente, ma sarei dentro quella gabbia». E quando l'ha detto, rivolgendosi al giudice Italo Ghitti, il generale Giuliano Taddei ha indicato le sbarre dietro le quali vengono messi gli imputati per reati violenti.
E' stato questo il momento clou della lunga udienza di oggi in Tribunale nell'ambito del processo che vede come principale imputato proprio il generale Taddei, ex direttore del Polo di mantenimento pesante nord di Piacenza, la struttura industriale militare più importante d'Italia. Con lui sono tutt'ora imputati anche due sottufficiali sempre dell'Esercito, Bernardino Politi e Francesco Paonessa, oltre a Claudio Barella, Costantino Bellocchio, Carlo Rocca, Oliviero Vecchiato, Mauro Ferri, Alessandro Faggioli e Paolo Quaglia. Per questi ultimi il pm Antonio Colonna, nell'udienza dello scorso 11 aprile, ha chiesto il non luogo a procedere per prescrizione, mentre per Taddei e i due sottufficiali ha chiesto due anni di reclusione per danneggiamento di area militare.
Prescritti anche per loro tutti gli altri reati dei quali erano stati chiamati a rispondere nel 2006 quando è scattata l'indagine, una delle più clamorose degli ultimi anni a Piacenza, e non solo: si parla di corruzione, falso ideologico, truffa ai danni dello Stato, danneggiamento di area militare e reati ambientali per Taddei e i due marescialli, mentre per tutti gli altri i reati erano gli stessi tranne che la corruzione al posto della quale c'erano ipotesi di furto.
Oggi dunque è stato il giorno di Taddei. E' stato l'ultimo a prendere la parola di fronte al collegio giudicante formato dal presidente Ghitti con Adele Savastano ed Elena Stoppini a latere.
Prima di lui era stata la volta delle difese che sino ad oggi non avevano ancora parlato (tutte le altre avevano già chiesto l'assoluzione dei loro assistiti nell'udienza di un mese fa) e cioè l'avvocato Marco Tassi che con Gian Marco Lupi assiste il maresciallo Paonessa. «Assoluzione perché il fatto non sussiste», secondo l'avvocato Tassi, visto che prima di tutto il sottufficiale agiva in base ad ordini legittimi, o comunque apparentemente tali, e inoltre si parla di rifiuti – quelli trovati interrati nell'area dell'ex Pertite – perlopiù vecchi di oltre dieci anni.
Dopo le richieste della difesa di Paonessa è stata la volta dell'arringa dell'avvocato Giovanbattista Maggiorelli, difensore di Taddei. Un ragionamento ampio, il suo, che ha toccato tutte le ipotesi formulate dal pm Colonna, anche quelle che lo stesso pm ritiene prescritte (ma che tali non sono finché i giudici non si esprimono in questo senso). L'avvocato Maggiorelli è partito tentando di smontare le accuse di truffa: «Questa storia – ha detto – è indubbiamente uno spaccato di come sono gli appalti in Italia perché se un lavoro può essere fatto con 50mila euro in questo Paese se ne spendono 300mila. Va però detto che se un subappalto è lecito, com'era lecito nel caso in esame, non si può certo parlare di truffa. Saranno denari spesi in eccesso e se si vuole colpire in Italia il sistema degli appalti bisogna agire con il bisturi. Ma cosa c'entra il generale Taddei? Il sistema dei subappalti era conosciuto e lecito, quindi non si può certo parlare di artifizi e raggiri».
Ma è sull'accusa di corruzione che l'avvocato Maggiorelli si infiamma maggiormente. Come si può pensare che qualche cena e un paio di serata al night possano rappresentare la contropartita per la corruzione, è quel che si chiede in sintesi. In altre parole contesta l'accusa secondo la quale il generale avrebbe fatto in modo che l'imprenditore Bellocchio, coimputato e titolare di una società di movimento terra e trasporti, ottenesse lavori in appalto in cambio di favori e donne. Non è così, ha spiegato Maggiorelli parlando di Taddei come di un uomo di potere ma comunque lontano da casa, solo, e quindi oggetto delle mire di imprenditori arrivisti – a suo dire – come Bellocchio che per entrare nelle grazie di un personaggio importante come Taddei avrebbero fatto il diavolo a quattro. E ha citato un episodio che la dice lunga: Bellocchio con altri avrebbe organizzato una cena alla quale era stata chiamata e pagata una prostituta la quale aveva l'ordine di spacciarsi come un'amica di famiglia; e così avrebbe fatto, seducendo il generale. Il quale non aveva la minima idea che si trattasse di una prostituta tant'è che se ne è poi invaghito, ha spiegato in aula l'avvocato: «Non ci si innamora delle prostitute».
E' a questo punto che ha rincarato addirittura la dose, bacchettando gli investigatori: «Per inseguire i fantasmi della corruzione – ha detto senza mezzi termini il legale del Foro di Velletri – è sfuggito qualcosa che forse poteva davvero costituire reato: del resto sono state comprate le prestazioni di una donna per fini non proprio nobili…». E ancora: «Qualche pranzo e un paio di serate al night dove il massimo che è stato pagato è un giro di bevute a delle ragazze. Punto. Questa sarebbe la corruzione. Non esiste proprio. Sarebbe comunque prescritta, e qui ha ragione il pm, ma comunque non esiste proprio».
Il difensore ha concluso contestando anche l'unica accusa rimasta in piedi secondo il pm e cioè quella di danneggiamento di area militare per la quale sono stati chiesti due anni: «Non c'è stato nessun danneggiamento perché stiamo parlando di una buca che era lì almeno dagli anni 70 – ha spiegato – E' impensabile che Bellocchio, Barella eccetera abbiano scavato una buca di quelle dimensioni, sarebbe stato antieconomico. Senz'altro ci hanno messo un po' di rifiuti, è stato accertato, ma la buca era precedente. E Taddei comunque non ne sapeva nulla, non c'è prova di questo fatto». E ha proseguito chiedendosi se sia possibile il concorso tra il reato di inquinamento e quello di danneggiamento di area militare. «Sì in teoria – ha detto l'avvocato Maggiorelli – ma se oltre all'inquinamento c'è anche una condotta in più. Ma se questa condotta non c'è, il danneggiamento non esiste. Gli esperti dell'Arpa hanno escluso che questi rifiuti abbiano inquinato, perché sotto c'era un pavimentazione antica che rendeva impossibile al terreno di assorbire i rifiuti stessi. In ogni caso questa condotta in più potrebbe esserci se fosse stato danneggiato un edificio militare. Ma così non è. Non c'è un edificio che sia stato danneggiato, nemmeno colposamente».
Dunque le conclusioni: assoluzione piena per il generale Taddei per tutti i reati e, in subordine, «aderisco alla richiesta del pm di prescrizione».
E' a questo punto che ha preso la parola il generale. E dopo aver fatto alcune precisazioni, mappe alla mano, su episodi specifici ha alzato il tiro avanzando l'ipotesi di una sorta di complotto dei suoi confronti: «Volevano che me ne andassi e hanno interrato attrezzature ottiche nuove, ancora imballate, delle quali avevo assoluta necessità perché servivano ai ragazzi che in quel periodo erano impegnati in combattimenti all'estero». Un fatto gravissimo, secondo Taddei, anche perché ha costretto i militari impegnati al fronte a utilizzare strumenti datati e non efficienti come lo sarebbero stati quelli a disposizione e di fatto nascosti.
Udienza aggiornata al 2 luglio per eventuali repliche e probabile sentenza.