Legambiente ha rivolto una richiesta ufficiale alla Regione Emilia Romagna in cui si chiede di approfondire il fabbisogno di impianti eolici di tipo industriale sull’appennino. Abbiamo chiesto a Laura Chiappa di Legambiente di illustrare il comunicato ufficiale (che riportiamo in questo articolo): ne emerge l'urgenza di identificare energie rinnovabili veramente funzionali per il territorio.
“Legambiente chiede alla Regione di approfondire il fabbisogno di impianti eolici di tipo industriale sull’appennino, e in particolare capire quanto la Regione intende considerare residuale, quindi di scarsa importanza, l’energia eolica preferendo puntare su altre forme come il fotovoltaico. Se così fosse, è urgente capire quali formi adottare, al fine di normare approfonditamente l’eolico di piccola taglia che attualmente non è favorito.
A livello piacentino, va posta grande attenzione alla presenza di impianti eolici: è una forma di energia rinnovabile difficilmente implementabile nel nostro territorio, stante la scarsezza di vento. Da qui l’urgenza di identificare altre forme energetiche rinnovabili che aiutino veramente la collettività. Noi siamo contrari agli impianti di Ferriere e quello di Nicelli: quest’ultimo è carente da ogni punto di vista ed ha subìto la richiesta di ben 72 integrazioni, in particolare sul calcolo delle presenza del vento, che non rispetta quanto richiesto dalla Regione.
Noi chiediamo la presenza di buone energie rinnovabili, tangibili, e che rispettino le qualità paesaggistiche ed economiche del territorio stesso. Che cosa serve a quella comunità? Non è preferibile puntare su piccoli impianti di produzione energetica a disposizione delle aziende agricole come gli impianti di biogas?
Voglio inoltre puntualizzare che non siamo contrari all’eolico a priori: non c’è nessun problema davanti all’inserimento dell’eolico nelle aree industriali o degradate, ma non è così in montagna, in aree di alta valenza ambientale dove è necessaria una grande prudenza.”
Di seguito riportiamo il comunicato ufficiale di Legambiente rivolto alla Regione.
"La lotta ai cambiamenti climatici e l’uscita dal petrolio sono imperativi necessari di oggi e per le generazioni future, che richiedono una vera e propria rivoluzione energetica. Una rivoluzione che ci deve portare al 100% di uso di energie rinnovabili, come comincia ad essere scritto anche in molti documenti ufficiali dell’Unione europea o di singoli stati, quali Germania e Olanda.
Questa rivoluzione energetica, da raggiungere perseguendo prima di tutto il risparmio energetico, ha bisogno di un grande sforzo di regolazione, pianificazione e approfondimento. Mal si presta invece a semplificazioni.
In questo senso appaiono preoccupanti le dichiarazione sull’eolico della Regione Emilia-Romagna delle ultime settimane, dichiarazioni che sembrano spiegare come le linee guida sulle rinnovabili, approvate nel 2011 siano di fatto uno stop all’energia del vento. Fermare impianti sbagliati e problematici è doveroso, ma colpire l’intero settore per farlo sarebbe un metodo piuttosto discutibile.
La questione riguarda la producibilità annua di 1800 ore imposte dalla Regione all’eolico sopra i 60 kW di potenza. Riteniamo necessaria una precisazione riguardo tale parametro, anche se serve purtroppo un passaggio tecnico.
Quando si parla di ore di produzione di un impianto eolico, in tutta la letteratura tecnica, così come nelle statistiche energetiche nazionali e internazionali, si utilizzano le “ore equivalenti”. Tale parametro rappresenta un modo semplificato per indicare la produzione di energia che dà luogo ad 1 kW di potenza in un anno. Affermare che un impianto debba garantire 1800 ore di produzione, nel linguaggio tecnico significa che è come se quell’impianto funzionasse in un anno per 1800 ore alla piena potenza (se l’impianto è da 1 kW produrrà 1800 kWh in un anno); in realtà tale risultato è ottenuto da una media di ore di funzionamento annuale in cui la produzione è spesso a regimi più bassi di quella massima.
Per intenderci, le ore equivalenti delle rinnovabili in Italia nel 2011 (statistiche GSE) per il fotovoltaico sono state in media di 1325, per l’eolico 1563, per l’idroelettrico 2531, per le bioeneregie 3800. Le ore di produzione nei paesi europei con più eolico installato, Germania e Spagna, sono state rispettivamente di circa 1600 ore e 1950 ore.
Si evince quindi che il limite minimo delle 1800 ore imposto dalla Regione andrebbe a garantire standard elevati, limitando la possibilità di realizzare grossi e medi impianti ad un numero ridotto di aree, che vanno poi incrociate con gli altri limiti posti dalla Regione (aree protette, altezze superiori ai 1200 metri, ecc).
Dalla lettura che esplicita la Regione in questi giorni, al contrario, sembra che agli impianti venga richiesta una potenza a pieno regime effettiva di 1800 ore, a cui andrebbero sommate l’energia prodotta a regimi di potenza inferiore. Questo metodo di calcolo porterebbe a producibilità equivalenti richieste di oltre 3000 ore, che nessun luogo d’Italia può garantire.
È chiaro quindi che tale lettura di fatto sarebbe uno stop surrettizio alla tecnologia. Una posizione che andrebbe esplicitata con onestà, e motivata con adeguati ragionamenti, studi ed indagini.
Al contrario si rischia di toccare un tema serio e complesso, con pareri da bar.
Se questa comunque fosse la strada che intende imboccare la Regione, occorrerebbe lavorare per ampie semplificazioni a favore del minieolico, che finora non si sono viste (al contrario le linee guida hanno bloccato l’interessante sperimentazione di minieolico sulla costa, mentre sugli stessi skyline avanzano indisturbati nuovi palazzi o grattacieli).
Così come andrebbe meglio valutato il mix energetico fissato dalla Regione, che punta in modo importante sulle bioenergie, senza un reale censimento della materia organica disponibile in regione.
La sfida che abbiamo davanti è quella di fare le energie rinnovabili nel modo giusto, evitando abusi e speculazioni (a cui purtroppo abbiamo assistito anche in questi giorni), pretendendo producibilità certe e non teoriche, e il rispetto della legalità.
Ma la strada da percorrere è quella in cui si lavora coinvolgendo le comunità locali e capendo quali siano i costi e i benefici delle scelte. Possibilmente attraverso una pianificazione che individui le aree più adatte, studiando i venti, le condizioni della viabilità, le rotte migratorie degli uccelli. Programmando, in modo da orientare il mercato a scelte virtuose; cercando di trovare modalità che garantiscano che quote dei ricavi derivanti dagli impianti rimangano nelle aree coinvolte, per azioni virtuose di promozione del lavoro e della tutela ambientale. Tutte azioni che ad oggi mancano completamente.
Istituzioni, associazioni ambientaliste ed imprese sono chiamate ad uno sforzo di questo tipo, che evidentemente non è banale, oggi che la politica è in forte crisi. Tuttavia la credibilità delle istituzioni e la rivoluzione energetica passano anche di qui.
Al contrario crociate istituzionali contro una tecnologia, nata per produrre energia pulita, suonano un po’ stridenti in una regione in cui il futuro dei trasporti passa per la realizzazione di 5 autostrade, che nessun assessore o sindaco mette in discussione."