Con “Chitarre all'opera”, in programma domenica prossima 21 aprile alle ore 17 alla Sala dei Teatini, si giunge al penultimo appuntamento con la rassegna cameristica, ad ingresso gratuito, “Allegro con Brio”, organizzata dalla Fondazione Teatri di Piacenza in collaborazione con il Comune di Piacenza, Assessorato alla Cultura e il Conservatorio di Musica “Nicolini”. Protagonisti Giuseppe Pepicelli e le chitarre del Conservatorio di musica Giuseppe Nicolini (Diego Guzman, Federico Lisandria e Pierpaolo Palazzo) che proporranno noti brani operistici nella loro trascrizione per una o più chitarre.
Quello dell'adattamento strumentale è un concetto molto vasto al cui interno le trascrizioni operistiche occupano un posto di particolare rilievo, poiché furono alla base della fioritura dell'editoria musicale ottocentesca. Negli anni Venti dell'Ottocento, essa raggiunse le dimensioni di un'industria, governata da un'organizzazione precisa: dopo neanche un mese dalla prima rappresentazione di un'opera, iniziavano a uscire le riduzioni delle arie che avevano riscosso più successo.
Il brano che apre il concerto di domenica 21 aprile è proprio la trascrizione di una Sinfonia d'opera. Forse potrà sorprendere la distanza temporale che separa La clemenza di Tito di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), andata in scena il 6 settembre 1791, dalla trascrizione che Mauro Giuliani realizzò nel 1812. Dobbiamo considerare innanzi tutto che in quell'anno Giuliani si trovava a Vienna: lì la memoria di Mozart era ancora più viva che altrove. La clemenza di Tito, poi, fu l'ultima opera scritta dal genio di Salisburgo. Inoltre Costanze, la moglie di Mozart, aveva incoraggiato l'aura mitica che già si addensava attorno al ricordo del marito, portando in giro per i teatri e per i salotti la sua musica. Nella sua trascrizione, Giuliani decise di utilizzare due chitarre di taglia diverse. La più piccola è intonata una terza minore sopra, e pertanto è definita 'terzina'. Al suo suono brillante sono affidate le parti acute.
Ben più rappresentativa del sistema editoriale descritto in precedenza è la trascrizione che invece chiuderà il concerto, sempre di Mauro Giuliani: l'Ouverture da La gazza ladra di Gioacchino Rossini (1792-1861). Questa volta Giuliani opta per due chitarre normali, semplicemente perché all'altezza di questa trascrizione (ci troviamo negli anni Venti) era già tornato in Italia, dove la chitarra terzina non era molto diffusa. Nonostante ciò, vale più o meno quanto detto per il brano precedente: a una chitarra sono affidate le parti acute e all'altra le gravi, e raramente i due strumenti s'intrecciano.
Mauro Giuliani (1781-1829) trascrisse musica per tutta la sua vita, e sulla trascrizione fondò gran parte del suo rapporto con gli editori. Questo lavoro formò in lui un'ottima conoscenza del repertorio, dell'orchestra e delle caratteristiche stesse della chitarra, con i cui pregi e limiti dovette continuamente confrontarsi. Le Rossiniane sono forse il risultato più felice di questa pratica. Esse appartengono al genere del pot-pourri, termine di origine alimentare (letteralmente indica uno stufato di carni miste a verdure) che indica genericamente un mischiare cose diverse; noi forse diremmo 'minestrone' o qualche cosa di simile. In ogni Rossiniana, Giuliani utilizza cinque o sei temi: gli ingredienti della Rossiniana n. 1 (1821) sono due temi dall'Otello, tre da L'italiana in Algeri e uno dall'Armida. Dal modo in cui questi ingredienti furono trattati, emergono sentori del lungo periodo che il chitarrista trascorse a Vienna: ognuno di essi viene prima esposto e poi variato secondo la tecnica classica del tema con variazioni.
Nel caso delle Rossiniane, i temi provengono da opere diverse dello stesso autore; un pot-pourri, tuttavia, poteva includere anche musiche di autori diversi o, al contrario, musiche provenienti da una singola opera: è questo il caso della Fantasia sulla Traviata di Francisco Tárrega (1852-1909), che nel programma di domenica è introdotta da un Preludio e due Mazurke dello stesso autore. Questa volta i temi non sono sottoposti a un processo sistematico di variazione, e il loro trattamento è per molti versi più libero. In generale, si può notare un interesse marcato per lo sfruttamento di tutte le risorse che distinguono la chitarra dagli altri strumenti. Un primo esempio si trova già nella terza battuta: il tema fondamentale dell'opera (per intenderci, quello che nel secondo atto diventerà "Amami Alfredo ") viene affidato agli armonici. Questo modo di adattare una musica allo strumento appartiene a un'estetica diversa rispetto a quella di Giuliani; un'estetica influenzata soprattutto dall'imponente pianismo di Franz Liszt, che a partire dagli anni Trenta divenne una sorta di 'personificazione' del virtuoso per eccellenza.
Questo tipo d'influenza sarà già riscontrabile nelle due trascrizioni di Johann Kaspar Mertz (1806-1856) in programma domenica, ognuna dedicate a un Lied di Franz Schubert (1797-1828). In Lob der Thränen (Lode delle lacrime), per esempio, la melodia è inizialmente supportata da un semplice arpeggio, come nell'originale. L'accompagnamento pianistico mantiene questa semplicità per tutto il brano; al contrario, quello chitarristico varia nell'ultima ripetizione della melodia, che ora è sostenuta da un incalzante arpeggio di sestine, capace di accentuare il sentimento del canto. D'altronde, una caratteristica tipica dei Lieder di Schubert è l'importanza dell'accompagnamento, che non svolge solo la funzione di sostegno armonico della melodia: il pianoforte dialoga con il cantante e proietta l'ascoltatore nel luogo in cui la canzone è ambientata. Die Post (La posta), per esempio, inizia con una squillante melodia: è il corno che annuncia l'arrivo del postino, e questo suono induce nel protagonista innamorato un pensiero: «perché sobbalzi, mio cuore? non c'è alcuna lettera per te».
Prima di questi Lieder, però, verrà interpretata una trascrizione per due chitarre a cura di Angelo Gilardino (1941). Si tratta della «Elegia per archi» Crisantemi, che Giacomo Puccini (1858-1924) compose nel 1890, quando venne a sapere della morte prematura di Amedeo di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele II. Questa volta osserviamo un rapporto diverso fra gli strumenti: la natura contrappuntistica del quartetto fa sì che le due chitarre interpretino un ruolo praticamente paritario. Entrambe le idee che compongono questo struggente quartetto verranno riutilizzate in Manon Lescaut, in scena al Regio di Torino tre anni dopo; pertanto, fu lo stesso Puccini il primo a trascrivere questa musica.
Una cosa simile, tra l'altro, fece Enrique Granados (1867-1916): seguendo il suggerimento del pianista Ernest Schelling, egli ricavò dalla sua Suite per pianoforte Goyescas un'intera opera. La trascrizione di Emìli Pujol Villarubì (1886-1960) riguarda l'intermedio fra il primo e il secondo atto dell'opera: siamo di fronte a una trascrizione di trascrizione, una trascrizione 'al quadrato'. Due chitarre, d'altronde, interpretano bene il carattere spagnolo della musica di Granados. Lo stesso Andrés Segovia trascrisse diverse composizioni del connazionale, cogliendo quanto di 'chitarristico' era già inscritto nelle composizioni per pianoforte o per orchestra di Granados.
Pujol, come il suo maestro Tárrega e come il contemporaneo Segovia, tentò di risolvere la mancanza di repertorio di cui soffriva il suo strumento con un instancabile lavoro di trascrizione. La celeberrima danza che apre La vida breve di Manuel de Falla (1876-1946) fu un altro dei risultati di questa pratica, che ancora una volta si rivolse verso la musica di un autore spagnolo. In effetti, già in un primo ascolto, si può cogliere lo sforzo del compositore di emulare le sonorità gitane; e in Spagna queste sonorità le immaginiamo subito associate al suono della chitarra. Pertanto, non sorprenderà il fatto che, riportando questa musica sulle sei corde, si possa avere l'impressione che essa trovi la sua più naturale collocazione.
L'appuntamento con “Chitarre all'opera” è quindi per domenica 21 aprile alle 17 alla Sala dei Teatini, via Scalabrini 9 – Piacenza. Ingresso gratuito.