Festival di Sanremo: mentre si avvicina la finale, abbiamo contattato un altro artista che partecipò al alcune edizioni “storiche” del festival negli anni ottanta. Garbo, esponente di primo piano della new wave italiana, presentò “Radioclima” e “Cose veloci”: canzoni che raccolsero un grande airplay radiofonico, malgrado il basso piazzamento nella classifica della kermesse (ma va ricordato che “Radioclima” ricevette il premio della critica). Il musicista comasco ha poi affrontato un percorso musicale che nei primi anni novanta l’ha spinto a diventare uno dei primi artisti indipendenti aprendo l’etichetta Discipline, con cui ha pubblicato numerosi dischi. Una scelta che, progressivamente, l’ha allontanato dall’esposizione mediatica, ma che per contro ha consolidato un pubblico fedele e attento: negli ultimi dieci anni Garbo ha inoltre coinvolto sempre più i giovani artisti “indie”, con cui di volta in volta ha scritto e inciso canzoni. Con uno di loro, Luca Urbani dei Soerba, è addirittura entrato in società, realizzando lavori prestigiosi come “Blu” e “Giallo elettrico”. Abbiamo chiesto a Garbo un commento e un ricordo delle sue partecipazioni al festival di Sanremo.
“Un’esperienza interessante, positiva: anche se faccio e facevo musica non necessariamente adatta a quel contesto, Sanremo è stato un modo per divulgarla anche a un pubblico molto più ampio. Mi è servito molto, sia come esperienza personale che come arricchimento di pubblico.”
Come si spiega questo fenomeno tutto italiano che concentra così tanta promozione in un solo mese?
“C’è una concentrazione di sforzi ed energie che coinvolgono molto. La cosa peculiare è che la musica vera non la si fa a Sanremo ma nei concerti, suonando, incontrando il proprio pubblico. E’ una delle tante anomalie italiane che si vivono in quel momento, una full immersion di cose più o meno utili e interessanti che fanno parte del costume del Paese, no?”
Alcuni tuoi colleghi sostengono che non sempre si sono ritrovati a presentare canzoni che li convincevano appieno. Cosa ci dici riguardo ai due pezzi che hai presentato tu negli anni ottanta?
“Devo dire che ho avuto la grande fortuna e forse anche un po’ di talento e personalità per portare quello che in quel momento stavo facendo, seguendo il percorso di allora. La mia casa discografica di quel periodo, la Emi, non mi forzò assolutamente: non ci fu una manipolazione rispetto a un tentativo di compromesso.”
Successivamente il tuo percorso è cambiato…
“Sì, perché avevo bisogno di maggiore autonomia e libertà, lo desideravo: i tempi delle major mi stavano un po’ stretti, erano vincolanti. Volevo pubblicare dischi quando volevo io e nel modo che desideravo io, per cui ho dovuto per forza dissociarmi. Poteva capitare di preparare un album e poi passava un anno prima della pubblicazione: rischiava di diventare già datato e meno interessante, quindi ho scelto una strada più indipendente e autonoma.”
Sta per uscire un libro con allegato un cd che raccoglie i tuoi primi demo…
“Il libro l’ha scritto Michele Molina, che mi ha aiutato a raccontarmi, ma il lavoro è tutto di suo pugno. Dato che stavo raccogliendo del materiale, ho recuperato del materiale che ho chiamato “Preistoria”: riguarda il periodo in cui non avevo ancora scelto il nome Garbo, ero ancora un ragazzo. Registrai molti brani rimasti sinora inediti: mi piaceva l’idea di regalare a chi mi segue un aspetto più privato, forse affascinante. Sono i semi di quello che poi ho fatto dal 1981 in poi. Dovrebbe uscire verso la fine di marzo.“
Nel 1985 hai presentato al festival “Cose veloci”: a Sanremo la canzone uscì con un piazzamento molto basso, ma poi fu trasmessa moltissimo dalle radio…
“In quel periodo la gente votava attraverso le cartoline di “TV Sorrisi & Canzoni”, magari ancor prima di ascoltare la canzone: si votava il nome. Nel 1984 andai con “Radioclima” e vinsi il premio della critica e arrivai terzultimo, credo che Ruggeri fosse penultimo e Zucchero ultimo: l’anno successivo successe la stessa cosa. Vasco Rossi, tanto per fare un esempio, arrivò ultimo con “Vita spericolata”: diciamo che sarebbe stato imbarazzante, per me o Ruggeri, piazzarci nei primi posti, avrebbe voluto dire che avevamo fallito!”