Sarà la musica di Arcangelo Corelli – di cui quest’anno ricorrono i 300 anni dalla morte – e le rivisitazioni che sono state fatte delle sue opere nel secolo scorso in terra inglese ad essere protagoniste del secondo concerto della rassegna cameristica, ad ingresso gratuito, “Allegro con Brio”, organizzata dalla Fondazione Teatri di Piacenza in collaborazione con il Comune di Piacenza, Assessorato alla Cultura e il Conservatorio di Musica “Nicolini”.
Domenica, 3 febbraio, alle ore 17 Sala dei Teatini, l’appuntamento è con il “Concerto Grosso”, che vedrà impegnata l’orchestra del Conservatorio “G.Nicolini” che sotto la direzione del Maestro Fabrizio Dorsi proporrà musiche di Corelli, Breiner, Sibelius, Holst e dei Beatles.
Compositore e violinista italiano nato nel 1653 a Fusignano e morto a Roma nel 1713, Arcangelo Corelli è considerato tra i più grandi compositori del periodo barocco; fondamentale fu il suo contributo allo sviluppo della forma musicale del concerto grosso, che egli portò all’apice della perfezione.
Quando infatti il compositore scrive i 12 Concerti grossi op. VI intende creare un modello per la propria e per le generazioni a venire. L’impresa gli riesce perfettamente. L’ordinata euritmia delle forme, la sapiente condotta delle voci, l’eleganza degli incroci fra le parti, l’alternarsi di caratteri all’interno di un eloquio sempre sostenuto conferiscono allo stile corelliano una purezza che si potrebbe definire attica, e, unitamente alla pubblicazione avvenuta in Olanda presso Estienne Roger, assicurano alle opere del compositore-violinista italiano una diffusione europea e una fama imperitura. Se gli stessi Concerti Brandeburghesi, con un concertino la cui formazione muta continuamente e comprende anche strumenti a fiato, rappresentano una forma evoluta del concerto grosso, ancora più evidente è il calco corelliano nel caso dei 12 haendeliani Concerti grossi op. VI del 1740, che perpetuano il modello anche in Gran Bretagna.
L’Ottocento trascura la lezione di Corelli a favore di un diverso impiego dell’orchestra d’archi, ma la riscoperta della musica antica a partire dai primi anni del Novecento porta nuovamente alla ribalta i campioni del barocco. La Gran Bretagna è anche qui in prima linea. Inglese è il pioniere degli studi sulla musica del XVII e XVIII secolo, Arnold Dolmetsch. Inglese è Gustav Holst (1874-1934), che, per ringraziare la St. Paul’s Girls’ School, che gli aveva messo a disposizione uno studio insonorizzato, dedica alle sue studentesse un brano che ricrea il concerto barocco italiano innestandovi nuovi elementi. Dall’età del basso continuo provengono sia il titolo della composizione (“Suite”), sia il titolo del primo brano (“Giga”), sia l’impiego delle prime parti degli archi in veste di solisti nel terzo movimento (“Intermezzo”). Tipicamente inglesi sono invece l’uso dell’ostinato (che caratterizza sia il secondo movimento, sia il finale) e l’inserzione di melodie popolari (The Dargason e Greensleeves), mentre è ancora il terzo movimento, con i suoi cromatismi e un insistito intervallo di seconda eccedente, a rivelarci anche gli interessi di Holst per l’oriente.
Diversa è l’operazione di Paul Breiner (1957-viv.), che compone dei veri e propri movimenti di concerto grosso, con tanto di concertino e di clavicembalo, da altrettante canzoni dei Beatles. Qui l’intenzione non è tanto quella di ricreare aggiornando, quanto quella di rileggere con ironico distacco.