Giornata piacentina per Dario Franceschini, capolista del Pd nella circoscrizione Emilia Romagna alle politiche, già segreario nazionale del partito dopo Walter Veltroni. Una passeggiata per il centro, un giro alla libreria Feltrinelli, dopodiché il deputato democratico si è “offerto” ai giornalisti nella saletta del point elettorale di Largo Battisti insieme ai candidati piacentini Paola De Micheli, Giorgia Buscarini e Marco Bergonzi. «Una bella squadra – li ha subito definiti Franceschini – personeserie, umili e capaci e cioè esattamente il genere di persone di cui il Paese ha bisogno in un periodo di grande confusione come quello attuale». E’ alla capacità e alla serietà che si deve guardare, secondo il capolista, per voltare definitivamente pagina rispetto a un ventennio che ha fatto registrare il progressivo impoverimento della classe politica e, di conseguenza, della credibilità istituzionale nei confronti dei cittadini. La soluzione dunque sono le mani sicure di chi sa amministrare, dice Franceschini, e indica la megafoto che campeggia alle sue spalle e nella quale Pierluigi Bersani, candidato premier e segretario democratico, abbraccia i piacentini del Pd che hanno scelto di scendere in campo alle politiche del 24 e 25 febbraio. «Avere un presidente del consiglio piacentino dovrebbe bastare tutti i piacentini, anche quelli che non hanno mai votato Pd, a dare fiducia a Bersani e al partito che, lo ripeto, in questo momento storico più che mai è l’unico che possa dare sicurezza all’Italia. Un’Italia in cui Piacenza e l’Emilia-Romagna potrebbero fare da guida..».
Torna il concetto del voto utile, dunque, tanto discusso ma che alla fine, anche secondo Franceschini, va affrontato perché è determinante: «Prenda la lista di Ingroia, per esempio – dice – E’ forse la lista caratterizzata dal più marcato antiberlusconismo in assoluto; eppure il voto a loro rischia di regalare voti proprio a Berlusconi. E’ un controsenso assurdo. E quando si è nelle urne bisogna rendersi conto di questi aspetti».
Dario Franceschini è a Piacenza anche per farsi un’idea più chiara della situazione Atlantis, il cantiere navale di Sariano di Gropparello che domani, giovedì, cesserà di produrre e chiuderà i battenti entro marzo. Situazione non facile, soprattutto per i 180 lavoratori che andranno in cassa integrazione (ed è notizia delle ultime ore, visto che sembrava in forse anche questa garanzia fino all’altro giorno). «Sono qui per capire meglio la situazione complicate di questa azienda – spiega – e poi per prendere degli impegni precisi, perché per noi le campagne elettorali sono occasione di ascolto ma sono anche l’occasione per prendere impegni precisi che poi andranno mantenuti. Al contrario di quel che fanno altri con facili promesse».
E non mancano le stoccate a Mario Monti, premier uscente e candidato alla stessa carica. «Monti candidandosi ha fatto una scelta rispettabile, ci mancherebbe – dice il capolista Pd – ma come tutti coloro che iniziano a fare una cosa nuova ogni tanto gli scappa un po’ il piede sull’acceleratore, come quando si impara a guidare. Nei giorni scorsi l’ho visto promettere la riduzione di Iva, Imu, Irpef e mi sono chiesto se era davvero lui o se era un sosia, visto che in Parlamento ha ostacolato tutte le nostre proposte di modifica. Molte battaglie le abbiamo vinte, come quella che ci ha permesso di evitare l’aumento dell’Iva sui beni di prima necessità, di ridurre l’imu per le famiglie con i figli a carico eccetera. Battaglie rispetto alle quali il Governo ha fatto molta resistenza».
Una campagna dura, dunque, e visto che «il Pd è favorito – chiosa Franceschini – tutti ci sparano contro con armi convenzionali e non». Una campagna caratterizzata dalla volubilità di chi volta, da un’incertezza generalizzata come forse mai prima d’ora. «Sono finiti i tempi nei quali si votava sempre uguale per tutta la vita o addirittura ci si tramandava il voto per generazioni. Ora ogni volta è come la prima volta e c’è molta sfiducia, molta disaffezione. C’è più di un terzo degli italiani che ad oggi non sa ancora chi voltare. Ed è proprio per questo che all’interno di questa mobilità si deve essere molto convincenti e ritengo che il Pd lo sia. Nel ventennio di caos berlusconiano il Partito democratico è rimasto l’unico punto fermo, per struttura, per radicamento, per gruppi dirigenti, per qualità delle persone a cominciare dal candidato premier. Qui si tratta di decidere a chi mettere in mano il futuro del proprio paese, ma anche il proprio futuro personale, quello dei propri figli, delle proprie imprese. E quindi è bene metterlo in mani esperte».
Infine per due volte i giornalisti tornano alla carica con il caso Monte dei Paschi di Siena, la banca al centro di un scandalo finaziario che sta coinvolgendo per molti il Pd. Si dice che il Monte Paschi sia “la banca del Pd”, il che ha fatto infuriare nei giorni scorsi lo stesso Bersani che ha replicato con parole non troppo gentili («sbranare» era il termine preciso, diventato poi un tormentone su twitter). Ebbene senza sbranare nessuno Dario Franceschini glissa con molta nonchalanche: «Non c’è niente da dire in merito a questo caso. Non è nemmeno un caso. Per il penale c’è la magistratura, per la gestione ci sono gli organi di vigilanza, il resto è solo polemica politica sterile»