“Sesso in cambio di bei voti”, studentessa si costituisce parte civile

Si svolgerà il 15 febbraio prossimo il processo a carico del professore di informatica che nel giugno 2012 salì alla ribalta delle cronache per aver avuto rapporti sessuali con alcune sue studentesse, il che gli costò l’arresto. Questa mattina davanti al giudice Gianandrea Bussi, l’uomo e i suoi legali hanno optato per il rito abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena. Una ragazza, presunta vittima del docente, si è costituita parte civile chiedendo un risarcimento.

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LA VICENDA

Tutto era partito dalla segnalazione di un genitore che aveva notato comportamenti anomali da parte della figlia con riferimento al rendimento scolastico nel suo istituto, il Romagnosi di Piacenza. Da lì sono iniziati gli accertamenti da parte degli uomini della Squadra mobile all’interno e all’esterno dell’istituto. Gli investigatori diretti dal commissario Stefano Vernelli avevano appurato che in orario extrascolastico il professore sotto accusa – P.V. le sue iniziali, piacentino, insegnante di informatica, sposato con due figli e candidato alle ultime elezioni comunali – si appartava nelle campagne di Cadeo, ma anche in un appartamento della città che gli cedeva un’ex studentessa, dove consumava con la ragazza 14enne rapporti sessuali completi e orali. Questo almeno secondo quanto riferito dalla polizia. L’insegnante era stato arrestato a fine giugno 2012 con l’accusa, testuale, di “atti sessuali con minore di anni 16 compiuti da persona a cui la minore era affidata per motivi di istruzione” (articolo 609 quater, comma 1, numero 2, del codice penale) che prevede da 5 a 10 anni di reclusione.

La polizia ha spiegato che il prof utilizzava la scuola “solo per adescare ragazzine, perché oltre alla scuola aveva anche altre attività”. E ancora: nelle classi prime selezionava le più carine a livello fisico e testava le reazioni. Quando vedeva che le ragazze si sentivano lusingate, lui – secondo le accuse – le avrebbe agevolate nelle interrogazioni, magari con qualche voto in più. Quindi passava oltre e chiedeva se si potevano sentire su Facebook dove, inizialmente con il suo vero profilo, lanciava battute più spinte (che peraltro pare che facesse anche all’interno della scuola). Se però vedeva che le ragazze reagivano male, “le prendeva in disparte – ha spiegato la polizia – e le minacciava tant’è che una di queste ha dovuto cambiare scuola”. Se invece dimostravano di apprezzare, allora chiedeva loro di cambiare account Facebook e di aprirne di fittizi per non destare sospetti. Era tutto ben pianificato, secondo gli inquirenti. Se la ragazza finiva prima, raccontava bugie ai genitori. Si incontravano anche all’interno della scuola, ad esempio nell’aula dell’informatica, per mettersi d’accordo su dove trovarsi fuori da scuola.