Il Teatro Municipale di Piacenza ospita dal 28 gennaio al 1 febbraio 2013 la dodicesima edizione del Concorso Internazionale per giovani voci liriche “Flaviano Labò”, indetto in onore del grande cantante lirico piacentino scomparso nel 1991. Al concorso partecipano i cantanti italiani e stranieri (di età non superiore ai 35 anni) che si sono iscritti.
La giuria del concorso sarà composta da Gianni Tangucci (Direttore Artistico, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi), Ruggero Barbieri (Direttore Artistico e Fondatore dell’Intramuros International Music Festival a Manila), Alessandro Bertolotti (Direttore Artistico Associazione Amici della Lirica di Piacenza), Sergio Buonocore (Presidente, Amici della Lirica di Piacenza), Cristina Ferrari (Direttore Artistico, Concorso Internazionale Voci Verdiane di Busseto), Giancarlo Landini (Critico Musicale, Mensile “L`Opera”), Lucia Rizzi (Cantante lirica e Docente di Canto), Alberto Triola (Direttore Artistico Festival della Valle d’Intra-Martina Franca).
Il concorso è indetto dalla Fondazione Teatri di Piacenza e dall`Associazione Amici della Lirica.
Venerdì 1 febbraio alle 21 il teatro Municipale presenterà il concerto finale che sancirà la chiusura del concorso.
Quest’anno l’adesione è stata massiccia, come ha confermato Cristina Ferrari, direttore artistico della Fondazione Teatri: “E’ un grande successo. Quest’anno le iscrizioni hanno superato le 150 domande. Non sono solo italiani: arriveranno anche dall’America, dal Giappone… Lunedì 28 gennaio saranno a Piacenza per affrontare la prima fase eliminatoria.”
Il tenore Flaviano Labò nacque ad Agazzino, una frazione di Borgonovo Valtidone (Piacenza) il 1 febbraio del 1927 e scomparve tragicamente in un incidente automobilistico all’età di 64 anni il 13 febbraio del 1991. Aveva dato l’addio al palcoscenico due anni prima con una recita di Simon Boccanegra al Municipale di Piacenza, lo stesso teatro che ne aveva visto il debutto nel dicembre 1954 con Tosca.
Il suo percorso artistico inizia nel maggio del 1949, dopo un periodo di studi presso il liceo musicale “G. Nicolini” di Piacenza: un’audizione alla Scala con Antonino Votto e alla presenza del sovrintendente Ghiringhelli, di Victor De Sabata e di Wally Toscanini gli permette di ottenere una borsa di studio per la scuola di perfezionamento dello stesso teatro dove prosegue gli studi con Gina Cigna, Carmen Melis, Apollo Granforte e ed il maestro Ettore Campogalliani, che seguirà poi a Mantova per completare la sua preparazione.
Dopo aver cantato in numerosi teatri in Italia, Europa e Sudamerica, il 29 novembre del 1957 esordì al Metropolitan come Alvaro ne La forza del destino di Giuseppe Verdi; nel teatro newyorchese si esibì per otto stagioni in altre tredici parti, fra cui Alfredo ne La traviata, Manrico ne Il trovatore, Radames in Aida. Nel 1959 alla New York City Opera fu Calaf in Turandot e Rodolfo ne La bohème. Cantò inoltre a San Francisco, Philadelphia, Houston e New Orleans. Sempre nel 1959 vi furono altri due importanti debutti: alla Royal Opera House di Londra e al Palais Garnier di Parigi, entrambi come Radames.
Apparve per la prima volta alla Scala nel 1960 in Don Carlo (edizione che diede poi origine a una versione discografica) e fu presente in tutti i principali teatri italiani, tra cui il Maggio Musicale Fiorentino (di rilievo il Gualtiero ne Il pirata di Vincenzo Bellini nel 1967, a fianco di Montserrat Caballé) e, regolarmente, l’Arena di Verona. Fra gli altri importanti teatri in cui cantò, ricordiamo l’Opera di Zurigo, Staatsoper di Vienna, il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, il Teatro Colón di Buenos Aires.
Particolarmente apprezzato per i ruoli eroici, nel suo repertorio figuravano anche Ernani, Macduff, Rodolfo (Luisa Miller), Riccardo, Enzo, Turiddu. Fu un tenore con voce ampia e potente, del tutto riconoscibile per brunitura verdiana e pastosità ma squillante e facile all’acuto. Il suo registro centrale era tanto bello da far scrivere al musicologo Walter Ricci: “Il centro vocale di questo tenore è sempre stato di una bellezza ineguagliabile”; il suo canto si caratterizzava per la chiarezza della dizione, il bellissimo legato, l’incisività del fraseggio e la grande espressività.
Naturalmente riservato, Labò preferiva il contatto diretto con il pubblico dei teatri anziché il poco stimolante lavoro di registrazione in studio; questo ne limitò la produzione discografica che fu tanto scarsa da non consentire alla critica di apprezzarlo nella giusta maniera. Registrazioni e raccolte pubblicate dopo la sua morte hanno in parte ridotto questa lacuna inducendo il critico Giorgio Gualerzi a dire: “L’importanza a di Labò, già attualissima, è addirittura proiettata nel futuro”.