Dodici anni di reclusione per ciascuno dei cinque imputati di riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Li ha chiesti oggi il pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna (Dda) Luigi Orsi. Tra i cinque accusati c’è anche un piacentino, proprietario di una casa, a San Nicolò, affittata alle donne africane che poi venivano fatte prostituire. La difesa del piacentino (con gli avvocati Lorenza Dordoni e Paolo Veneziani) ne ha chiesto l’assoluzione, perché l’uomo non avrebbe fatto parte dell’organizzazione legata alla mafia nigeriana e non sarebbe mai stato indicato come responsabile dalla giovane ragazza che con le sue dichiarazioni ha permesso di smantellare la rete criminale. E l’assoluzione è stata chiesta anche dai difensori dei quattro nigeriani accusati di aver trattato la nigeriana come una schiava e di averle minacciato la famiglia.
Il processo si è celebrato davanti alla Corte d’assise (presidente Italo Ghitti, a latere Adele Savastano oltre ai giudici popolari) a Piacenza. E’ uno dei rari casi in cui la potente mafia nigeriana, così l’ha definita Orsi, viene processata grazie al coraggio di una delle vittime che, sapendo dei rischi che poteva correre anche la famiglia, ha deciso di dire basta.
Gli investigatori della Squadra mobile sono riusciti a ricostruire l’inferno in cui era finita la ragazza a partire dal viaggio dalla Nigeria, attraverso Sudan, Niger e “centro di stoccaggio” in Libia. E poi in Italia, ha ricostruito il pm, la trafila che l’ha resa schiava con botte, minacce alla famiglia, controlli pressanti dei suoi aguzzini.
L’inchiesta partì da una vicenda avvenuta, nel 2010, a Crema, dove la ragazza maltrattata in strada venne ripresa dalle telecamere. La polizia avviò l’indagine che approdò poi a Piacenza. Qui la Mobile scavò facendo emergere il complesso giro criminale in cui era precipitata la ragazza. La sentenza è prevista per il 28 dicembre.