Caso presepe nella scuola di Monticelli, dopo una settimana di “scontri frontali” suscitati dall’indicazione di non allestirlo da parte della preside Manuela Bruschini (“non connotare in un senso religioso univoco le feste e le attività organizzate in orario curricolare, a tutela di tutte le sensibilità religiose e a-religiose che hanno pari diritto di cittadinanza nella scuola pubblica”), abbiamo interpellato Emanuela Ceva, docente di etica pubblica all’università di Pavia, che negli ultimi anni si è occupata, da una prospettiva normativa, di tematiche inerenti al conflitto/conciliazione tra istanze minoritarie e istituzioni democratiche.
Quando parliamo di presepe o di crocefisso a scuola, parliamo della stessa cosa? In fondo il Natale è una festività religiosa alla quale pare ragionevole accompagnare una simbologia anch’essa religiosa.
Ci sono aspetti di identità molto forti tra le due questioni: in entrambi i casi si tratta di rendere possibile la presenza di simboli a scuola di una religione specifica che, per quanto maggioritaria, non è l’unica religione riconosciuta dallo Stato, la cui vocazione è laica.
D’altra parte c’è una differenza nella misura in cui la presenza del crocefisso rientra nell’ambito di un’esposizione fissa, mentre il presepe è una realizzazione temporalmente circoscritta di un simbolo che riguarda il festeggiamento di una ricorrrenza. E’ una distinzione rilevante perché l’esposizione permanente del crocefisso e di nessun altro simbolo sembra possa rappresentare un sostegno da parte della scuola nei confronti di una religione e non di altre, mentre la realizzazione del presepe potrebbe apparire come un’attività ricreativa concepita in occasione di una festa e pertanto, non avendo il carattere della stabilità e della permanenza, sembra sollevare questioni differenti.
Dal punto di vista del procedimento, è legittimo da parte del dirigente scolastico avanzare un’indicazione di questo tipo pur in assenza di rimostranze da parte di eventuali minoranze religiose?
E’ certamente legittimo da un punto di vista etico porre il problema e non dare per scontato che la presenza di simboli religiosi all’interno di una struttura pubblica non sia problematica, anche in assenza di rimostranze o di minoranze appartenenti ad altre religioni.
La legittimità etica molto dipende dal modello multiculturalista di riferimento: se l’idea è che lo stato sia laico e le istituzioni rappresentanti lo stato debbano essere, di conseguenza, imparziali rispetto ai diversi gruppi religiosi, si possono seguire due strade: seguendo il modello della laicité francese, data la presenza di pluralismo, si cerca di rimanere perfettamente neutrali in modo da non discriminare nessuno. D’altra parte se il modello multiculturalista di riferimento non è neutralista, ma propositivo, detto anche “multiculturalismo dei cento fiori“, allora l’invito o divieto a non realizzare simboli religiosi sembra cozzare contro questo spirito, che mira ad aggiungere più che eliminare.
Se invece non abbiamo modelli multiculturalisti di riferimento e intendiamo l’integrazione come mera assimilazione, allora la legittimità della proposta viene meno, nella presunzione che le minoranze si debbano necessariamente conformare alle pratiche della maggioranza.
Molte delle obiezioni avanzate dai detrattori del provvedimento prendono le mosse dalla critica a un “multiculturalismo degenere” che cancella le tradizioni culturali di un popolo. Dov’è il discrimine tra tradizione culturale e religiosa?
Difficile dare un risposta netta. Il filosofo canadese Will Kymlicka direbbe che la religione rappresenta una cultura “sociale“: ha un aspetto isituzionale formalizzato e permanente, che genera un impatto sulle identità e sulla concezione del bene dell’individuo maggiore rispetto alle semplici consuetudini. Tradizionalmente, questa è una prospettiva comunitarista per cui la religione, data la sua capacità di impatto sull’identità dei singoli, merita una particolare attenzione. D’altra parte, da una prospettiva liberale, la religione è solo uno dei vari aspetti che incidono sull’identità e sull’autodeterminazione di un individuo e pertanto non merita un’attenzione particolare.
Intende dire che anche tra comunitaristi e liberali non ci sarebbe accordo sul definire il presepe come simbolo strettamente culturale o strettamente religioso?
Non ci sarebbe accordo sulla valutazione. Molto dipende dalle ragioni per le quali affrontare determinate problematiche: dal punto di vista liberale la religione è solo uno dei vari aspetti che incidono sull’autodeterminazione degli individui. I comunitaristi, nella misura in cui guardano prioritariamente all’identità del gruppo, darebbero molto più peso alla derivazione religiosa delle tradizioni culturali.