La testa di Chiara Brandonisio “venne letteralmente massacrata’ da una spranga di ferro e anche quando la vittima era ormai accasciata al suolo dopo i primi colpi e non poteva più difendersi dal suo aggressore, l’assassino continuò a colpire con uguale brutalità”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Bari nelle motivazioni della sentenza con cui nel giugno 2012 hanno confermato la condanna a 30 anni di reclusione per il 54enne piacentino Domenico Iania, reo confesso dell’omicidio della 34enne di Ceglie del Campo, Chiara Brandonisio, uccisa l’8 luglio 2010.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, dopo 5 mesi di una relazione virtuale in chat, prima su facebook poi su msn, senza essersi mai incontrati, lei lo aveva lasciato perché aveva cominciato a frequentare un uomo a Bari. Iania, residente a Morfasso (Piacenza), avrebbe quindi minacciato di suicidarsi in diretta in webcam. Poi il piano criminale. Gli investigatori hanno ricostruito il percorso dell’assassino dalla sua casa nel Piacentino fino alla scena del crimine. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio si sarebbe messo in viaggio sull’autostrada adriatica.
Giunto a Ceglie all’alba, avrebbe utilizzato le 24 ore successive per studiare i movimenti della vittima. Dopo averla trovata, l’avrebbe osservata, pedinata e infine aspettata sulla strada che Chiara percorreva ogni mattina in bicicletta per andare a lavorare. Lì l’avrebbe colpita alla testa ripetutamente con una spranga di ferro verde, fracassandole il cranio e uccidendola. Poi avrebbe abbandonato l’auto al limite di un precipizio ritornando nel Piacentino in treno e in autostop. I giudici sottolineano la “completa assenza di sentimenti di umana compassione e pietà” e “l’inarrestabile ansia di sfogare la propria malvagità” in quello che definiscono “un vero e proprio agguato”.
All’imputato sono state anche riconosciute le aggravanti della premeditazione e della crudeltà. “Portò dalla sua abitazione la spranga (un paletto della recinzione del suo giardino, ndr)”, scrivono i giudici per dimostrare che “aveva maturato la decisione di uccidere fin dal momento in cui intraprese il viaggio alla volta di Bari”.
“Non era ipotizzabile – scrivono i giudici condividendo le conclusioni del gup del primo grado – che lo scopo di detto viaggio fosse stato quello di riallacciare il rapporto sentimentale e ciò perché l’imputato si era presentato all’incontro con la vittima non già portando fiori o regali, ma brandendo una spranga di ferro”. Iania era già stato condannato della Corte d’Assise d’Appello di Milano, nel gennaio 1993, per il tentato omicidio di sua moglie. Secondo i giudici di Bari, questo dimostra “una radicata inclinazione a reagire al rifiuto altrui”. (ANSA)