“Se non mi paghi faccio del male a tua madre e a tutta la tua famiglia”

«Stai attenta perché se non torni a casa e non mi dai i soldi che mi devi, so dove trovare tua madre e faccio del male a lei e a tutta la tua famiglia». Parole durissime con le quali l’imputata nigeriana in concorso con i suoi complici, avrebbe tenuto per mesi in scacco la vittima, una sua giovane connazionale costretta a prostituirsi sui marciapiedi della periferia piacentina. Parole che questa mattina ha riferito in tribunale la stessa prostituta, oggi sotto protezione, fuggita ai suoi aguzzini nei primi mesi del 2009. Ed è stata proprio lei, nel corso dei mesi successivi, a dare il via a una complessa indagine partita da Crema e portata avanti dalla questura di Piacenza, in collaborazione con i colleghi della cittadina lombarda e anche di Teramo (il giro arrivava sino ad Ascoli Piceno), e sfociata lo scorso anno nell’esecuzione di otto misure cautelati in carcere con accuse pesantissime; non solo – si fa per dire – il solito reato che in tantissimi casi analoghi si attribuisce ai presunti aguzzini, ovvero sfruttamento della prostituzione, ma anche reati di un livello “superiore” per il quale non è competente la procura della Repubblica dei singoli territori in cui si sarebbero svolti i fatti bensì la procura distrettuale antimafia, in questo caso la Dda di Bologna. Stiamo parlando di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù e immigrazione clandestina oltre, ovviamente, allo sfruttamento della prostituzione. 

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Reati di cui, come si diceva, devono ora rispondere (in contumacia) gli otto imputati di un processo che è in fase di svolgimento di fronte alla Corte d’assise di Piacenza e che durerà ancora diverse settimane; cinque sono nigeriani e tre italiani, di cui due sono tassisti di Ascoli e il terzo è un piacentino: un 56enne che avrebbe messo a disposizione un appartamento in Valtrebbia alla “maman” nigeriana accusata di aver sfruttato (e picchiato e minacciato), insieme ad altri, la giovane donna poi fuggita. Denunciato anche un altro piacentino sempre per lo stesso motivo: appartamento messo a disposizione spesso in cambio di sesso e denaro. 

Questa mattina, dunque, di fronte alla corte presieduta dal giudice Italo Ghitti (con Adele Savastano “a latere”) si è presentata la giovane nigeriana costretta prostituirsi dopo essere stata portata in Italia a bordo di un barcone dalla Libia e poi con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Con l’aiuto di una traduttrice ha raccontato di quando ha trovato il coraggio di fuggire dalla strada e dalla sua sfruttatrice. “Sono scappata dal marciapiede – ha detto – e sono andata in stazione in piena notte. Lì ho incontrato un uomo che mi ha ascoltata e mi ha aiutata portandomi a Crema, a casa della sua fidanzata, anche lei nigeriana come me”. Lì la ragazza ha tentato di costruirsi una nuova vita ma qualche mese dopo è stata contattata per telefono dal fidanzato della sua aguzzina la quale, dopo aver preso in mano in cellulare, l’avrebbe minacciata di ritorsioni contro la sua famiglia se non si fosse fatta vedere e se non avesse portato i soldi che la maman riteneva di dover avere. E’ lì che la giovane, ormai ex prostituta, ha spezzato la sim card del suo cellulare e si è poi rivolta alla polizia: “Quella vita non so poteva veramente fare – ha detto in aula – non sarei mai riuscita a tornare di nuovo a quel lavoro”.