“Chiediamo solo di lavorare onestamente. Chi protesta lo faccia, se vuole. Ma non può minacciarci o impedirci di entrare nello stabilimento con la forza. Devono smetterla di intimidirci. Così rischiamo di perdere il lavoro e non lo vogliamo. Abbiamo famiglie da mantenere”. Sono l’altra faccia della medaglia del caos che in questi giorni sta investendo lo stabilimento Ikea 2 di Le Mose. Divisi da un cancello. Da una parte una quarantina di stranieri (aderenti al Sì Cobas) sono fuori a picchettare; dentro decine di lavoratori, italiani e stranieri, proseguono nelle loro mansioni chiedendo semplicemente il rispetto di un diritto “sancito dalla Costituzione”: “Lavorare senza dover per forza avere paura”. Sono facchini, carrellisti o retratti listi, comunque lavorano tutti per conto delle tre cooperative (San Martino, Euroservice e Cristall) che formano il Consorzio (Cgs) che detiene l’appalto del committente Ikea. Ieri alcuni di loro se la sono vista davvero brutta. In cinque, tra cui una donna, sono dovuti ricorrere alle cure del Pronto Soccorso in seguito ai parapiglia provocati da coloro che all’esterno volevano impedire a tutti i costi ai lavoratori di entrare. Ad alcuni hanno perfino danneggiato le auto.
“Ormai va avanti così da una settimana e siamo stufi – afferma Vince, “eletto” portavoce dei lavoratori all’interno del capannone – i fatti più gravi sono avvenuti ieri con i colleghi che volevano entrare e che sono stati addirittura aggrediti. Hanno messo le mani addosso anche alle donne. Non capisco l’arabo e mi hanno sbattuto per terra mettendo le mani addosso alle donne, tagliano gomme delle macchine e hanno chiamato la telefono per minacciare chi vuole venire a lavorare”. Vince e i colleghi spiegano che per riuscire ad entrare qualcuno è stato costretto a scavalcare le reti, altri addirittura a nascondersi dietro le auto. “La polizia dice che non può intervenire, invece dovrebbe fare qualcosa per garantirci il diritto al lavoro. Non vogliamo perdere il posto di lavoro per colpa di una minoranza esagitata che non sa nemmeno quello che vuole. Cosa vogliono quelli fuori? Non vogliono lavorare, ma sono al massimo una trentina. Molti di quelli là non sono di Ikea, sono stati chiamati per avere un sostegno”. Non accettano che chi protesta parli di disparità di trattamento economico: “Non è assolutamente vero. In base alle mansioni prendiamo tutti lo stesso stipendio. E’ normale che quando ci sono i cali di produzione, c’è meno lavoro e riesce a guadagnare di più chi sa fare tutte le mansioni. La crisi c’è per tutti, è normale. Ma qui dobbiamo ammettere che siamo tutto sommato fortunati perché possiamo ancora lavorare. Quelli dei Cobas non sanno neanche per cosa protestano. Sono rimasti una ventina che vogliono fare casino e non hanno niente da perdere. Abbiamo paura di perdere il lavoro, le giornate, la paura di venire a lavorare, ci sono minacce”. Lo sfogo prosegue con le parole di una lavoratrice italiana: “Qui si lavora bene, non ci alzeremmo alle 4 di mattina per lavorare qui. L’ambiente è abbastanza sano, uno dei pochi rimasti. Se hai un problema, i responsabili ci vengono incontro”.
Si rivolgono poi a quelli fuori: “A loro gli dico di smetterla e lasciarci lavorare. Perché poi magari ci stanchiamo anche noi e… siamo di più di loro. E alle cooperative chiedo di tenere duro per mantenere il nostro posto di lavoro, altrimenti sono 200 famiglie che vanno a spasso. Noi siamo con le cooperative, che non ci stanno facendo mancare nulla”.