Centrale 118, accorpamento necessario: “Il mondo va in questa direzione”

 

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Il quadro generale dei tagli alla sanità nazionale, aggravato dal decreto sulla spending review, e le sue ripercussioni a livello regionale e provinciale sono gli argomenti di cui si sta parlando ora alla conferenza sociosanitaria si è da poco concluso nella sala consiliare dell’ente di via Garibaldi alla presenza dell’assessore regionale Carlo Lusenti. Il quale non usa mezzi termini per descrivere una situazione sempre più difficile: “Siamo nel pieno di una tempesta perfetta che durerà almeno due o tre anni. Ne usciamo solo se non ragioniamo con logiche localistiche ma se riorganizziamo tutta la macchina sanitaria regionale, che è tra le migliori d’Italia e d’Europa”. Una riorganizzazione senza togliere qualità nei servizi.

Temi assolutamente delicati per i quali, secondo Lusenti, “è fondamentale confrontarsi nelle sedi proprie e questa, in quanto istituzione, è una sede propria”. Non lo sono, invece, i dibattiti sui giornali o le discussioni con i comitati spontanei, ha aggiunto polemicamente. “E’ necessario parlare della situazione generale – prosegue – perché sono sottovalutati e spesso dimenticati molti aspetti sostanziali. Io registro nelle sedi istituzionali un’assoluta sottovalutazione e una bassa consapevolezza degli elementi specifici della situazione; e sono elementi che producono effetti diretti a casa delle persone”.

Elementi che l’assessore elenca: “Il primo, che influenza tutti gli altri, è il tema delle risorse. A me come a voi è assolutamente nota la situazione e diamola per acquisita in questa sede. Quello che riferisco non lo riferisco a fini polemici ma è solo una descrizione del quadro, un elemento di realtà con cui fare i conti. Bisogna partire da un anno fa perché da lì iniziano una serie di provvedimenti nazionali che modificano radicalmente il Fondo sanitario nazionale. Il fondo sanitario nazionale fino al 2011 era definito sulla base del Patto della salute in quantitativi che avevano una loro crescita annuale, insufficiente ma c’era, ed era in relazione all’aumento dei costi, come energia e altre voci di spesa. Negli ultimi dieci anni l’aumento è stato mediamente del 4% all’anno. Quel fondo dal 2011 viene ‘manomesso’ non più sulla base di accordi ma sulla base di scelte unilaterali, solo del Governo, alle quali semmai le regioni possono esprimere la contrarietà. Le due manovre lo riducono di 3 miliardi nel 2012, di altrettanti nel 2013 e di altri tre miliardi nel 2014. Siamo solo all’inizio della salita, perché abbiamo digerito il taglio dei primi 3 miliardi”.

E qui viene il bello, si fa per dire: “Poi entra in sena la spending review – rincara la dose Lusenti – Ed entra successivamente e si somma quindi a quelle riduzioni già in atto: per il 2012 ai tre miliardi di tagli si aggiungono altri 900 milioni. Parliamo di riduzione del fondo nazionale della sanità del 2012 e in totale di quasi 4 miliardi. Nel 2013 saranno 4 miliardi e 3, nel 2014 altri 5 miliardi. Si ha consapevolezza di questo? Il fondo non solo non cresce più di quella dinamica modesta ma necessaria per coprire i costi, ma non cresce in assoluto e l’anno prossimo calerà in valore assoluto. Ecco, noi siamo all’interno di questa dinamica”. Una dinamica in effetti drammatica.
Alla quale si aggiungono altri tasselli di contorno che però contribuiscono ad aggravare la situaizone. E l’assessore regionale fa un esemoio: “L’aumento di un punto percentuale dell’iva fatto nel 2011 – dice – ha rappresentato un aumento di costi di 40 milioni di euro all’anno solo in Emilia Romagna, perché noi l’iva non la scarichiamo”.

La situazione è ai limiti dell’insostenibile. Per le regioni in piano di rientro, le costringe a stare nel piano di rientro e sono ricacciate in una situazione durissima. E non parliamo mica del Sud: La Liguria, ad esempio, è uscita due anni fa, il Piemonte è da due anni in piano di rientro. Le regioni che ce la fanno in modo solido da sempre, e noi siamo tra queste, si trovano in una situazione mai affrontata prima. Siamo all’interno di una sorta di tempesta perfetta per i prossimi due o tre anni. Per questa ci dobbiamo attrezzare”.

E qui Carlo Lusenti entra nello specifico del decreto sulla spending review.
“Si parte da uno sfondo logico (o ideologico) che dice: agiamo sulla spesa lasciando invariati i servizi resi ai cittadini. Vi riduco le risorse, dice il Governo, ma siccome c’è del grasso da tagliare voi ce la fate ugualmente a fornire i servizi. L’articolato della spending review dice anche: siccome per tagliare il grasso che c’è non mi fido di voi, adotto centralmente dei provvedimenti che voi dovrete applicare che vi consentono di recuperare le risorse utili a tenervi in equilibrio anche con i finanziamenti ridotti. Esempi: taglio del 5% su tutti i contratti di fornitura. Questo taglio, è prevedibile, porterà in tribunale“.

Questa cosa produce effetti diversi; se l’Emilia Romagna può recuperare il 20% sulla base di queste tabelle, la Campania potrà recuperare l’8, la Calabria l’11. “Morale – spiega Lusenti – i conti non tornano. Al professor Bondi l’abbiamo detto, ci ha risposto che abbiamo ragioni ma siamo in una gabbia che si chiama stato di necessità e quindi arrivederci e grazie”.

Altro argomento, i posti letto. “A parte che usare i posti letto come elemento indicativo dei costi e organizzazione dei servizi – sottoliena l’assessore – è come usare oggi un’auto degli anni 60. Esempio: certi interventi prima venivano fatti in day hospital, oggi sono ambulatoriali. Ci sono altri costi che incidono e di cui non si tiene conto. Si pensi all’oncologia: non ha posti letto, non servono, ma servono farmaci innovativi che costano tantissimo”.

Morale: Lusenti pernsa che ridurre i posti letto, quindi, non serva perlopiù a niente. La situazione dei posti letto era già normata: 4 posti letto per mille abitanti. Le regioni si sono adeguate e mediamente ci sono 4,1 posti letto per mille abitanti in Italia. In Emilia Romagna siamo a 4,6 posti letto. La spendi review ci dice di andare a 3,7 posti letto per mille abitanti. Noi abbiamo 20mila letti in Emilia Romagna; passare al 3,7 significa abbassare di 3.800 posti letto l’offerta in regione”.

La riduzione di posti letto, quindi, ci sarà. Di quanto ancora non si sa. Entro il 31 ottobre ci sarà un accordo nel quale verranno ridefiniti i parametri e delle caratteristiche dei singoli ospedali. Entro il 31 dicembre i posti andranno comunque ridotti. E finché non si farà questa riduzione, tutto resta bloccato. “E quando verrà fatta, verrà fatta almeno al 50% con riferimento ai posti letto pubblici; il resto ai posti letto delle strutture private accreditate“.

Quanto inciderà a Piacenza il provvedimento? Quanto Reggio? Quanto Ferrara? Non si può sapere ancora con precisione.
“Adesso capite perché i numeri ‘al lotto’ scritti sui giornali – affonda Lusenti – sono destituiti di ogni fondamento: sono certi i parametri ma in mezzo ci sono tanti passaggi, troppi passaggi; quindi la strada è lunga e complicata. Guardiamo la luna e non il dito, non lasciamoci trascinare in discussioni inutili e non fondate; e lo dico a voi rappresentanti delle istituzioni.
Reggio ha oggi 3,65 posti letto per mille abitanti e potrebbe dire di essere a posto. Se si ragionasse in un logica tutta locale, Reggio è a posto. Ferrara ha 5,2 posti per mille abitanti, Bologna ha 5,4 posti letto; c’è anche da dire che la mobilità va quasi tutta a Bologna, quindi i problemi li avrà Ferrara. Cosa fare dunque? Possiamo mandare l’esercito a Ferrara? Direi di no.  
Piacenza sta a 4,17 posti letto per mille abitanti. Posizione intermedia, dunque, ma l’obiettivo è il 3,7, quindi i problemi ci saranno”.

Questa dunque è la diagnosi, dice Carlo Lusenti. Ora bisogna parlare della terapia.
Per affrontare una tempesta perfetta di questo tipo, ci sono alcune soluzioni. “La visione che io sostengo – prosegue – è che non possiamo affrontare questo quadro in modo difensivo, in modo di pura resistenza; non dobbiamo solo superare la tempesta, dobbiamo avere ben chiaro dove vogliamo arrivare dopo; ci vuole una soluzione strategica di medio periodo, se no non reggiamo questa situazione. Noi siamo in grado di avercela, questa visione, perché abbiamo uno dei sistemi sanitari più avanzati e possiamo farcela”.

Alcune regioni possono decidere di andare a debito, spendere più di quel che arriva e quindi andare in piano di rientro; “ma noi in regione Emilia Romagna – rassicura Lusenti – non ci vogliamo entrare, lo escludo”. “C’è una seconda possibilità – prosegue – ci avete ridotto le risorse del 10%? E noi faremo il 10% in meno. Non taglieremo in maniera lineare, ma faremo comunque il 10% in meno. Ecco, anche questa possibilità la escludo”.

E afferma: “Quale resta, dunque? Una sola possibilità: noi dobbiamo cambiare, migliorare, riorganizzare, dare una nuova missione al nostro servizio sanitario in modo da riconfigurare i servizi per renderlo sostenibile nelle nuove condizioni date ma più adatto e altrettanto qualitativo ai bisogni del cittadino, che nel frattempo cambiano. Perché tutto continua a cambiare, anche durante la crisi. Se noi riusciamo a ridefinire l’organizzazione garantendo i servizi, riusciamo a uscirne bene. Ma c’è di più: c’è una leva che viene usata per prima ed è anche più redditizia, ed è il personale, il turn over che può essere portato a zero. Nel servizio sanitario dell’Emilia Romagna il turn over è rispettato da 13 anni e vogliamo che resti così. E vogliamo questo perché siamo coerenti con quello che abbiamo sempre detto: il valore fondante di tutto il sistema è fatto dai cervelli, dalle professionalità, dalle competenze, dalla qualità di chi cura”.
“Non è che partiamo da zero – prosegue – qualcosa abbiamo già fatto. Ci sono alcune cose che dobbiamo ottimizzare, per esempio tutti quei servizi, quegli sportelli che non stanno davanti ai cittadini vanno riorganizzati, unificati. Dobbiamo unificare il sistema a livello regionale, perché non esistono differenze sostanziali di popolazione e territorio; le condizioni sono identiche e quindi bisogna portare tutto (spese, farmaci, servizi..) alla media regionale”.

E qui si arriva alla questione, spinosa, della centrale del 118.
Una questione che per Lusenti è chiara e richiede onestà intellettuale e competenza per poterla affrontare. “Si va verso l’organizzazione dei servizi con meno centrali ma con più tecnologia – dice – più adeguata al modello europeo del 112, con tutto integrato: centrale di polizia, di emergenza sanitaria eccetera. In Romagna c’è una sola centrale, nell’area metropolitana di Milano ce n’è una e serve 2 milioni e 200mila abitanti. Il Piemonte, che è piano di rientro, nel 2011 ha adottato una delibera: facciamo quattro centrali che servano bacini più ampi e togliamo le piccole. Vogliamo stare con quelli che sono più indietro o con quelli che sono più avanti?”

In altre parole più le centrali operative sono grandi e migliori sono le loro performance, sostiene Carlo Lusenti. E c’è di più: quelli che pongono la questione della conoscenza del territorio come valore aggiunto degli operatori “locali”, secondo l’assessore regionale alla Sanità sbagliano: ci sono studi che dimostrerebbero quanto la conoscenza diretta del territorio da gestira come centrale sia in realtà fuorviante e quindi addirittura dannosa.

Centrali accorpate, più grandi, più moderne e più efficienti, quindi. Il mondo va in questa direzione, dice Lusenti, e quindi ci si deve adeguare. E si può anche essere d’accordo; resta da chiedersi il perché questa centrale più grande, più moderna, più all’avanguardia ed efficiente non possa essere fatta a Piacenza invece che, magari, a Parma.